
Pubblicato ore 11:46
- di Valeria Cappelletti
LIVORNO – “Bisogna che ce ne sia una che sopravviva“, una per raccontare quello che è accaduto, ciò che di disumano è stato fatto, se nessuna sopravvive “Chi porterà queste parole?“.
Il pubblico seduto in teatro è immerso nell’oscurità, pochi attimi, poi i riflettori si accendono e illuminano il palco e con esso 19 donne che lentamente entrano, prendono posto in piedi in quella parte del palco che si chiama ribalta.
Sono Alessia Cespuglio, Nara Biagiotti, Luisa Bianchi, Lisa Ceccherini, Francesca Cordì, Stefania D’Echabur, Flaviana Deserti, Simonetta Filippi, Francesca Finocchiaro, Lara Gallo, Roberta Gattabrusi, Rina Giuffrida, Giovanna Gorelli, Fiamma Lolli, Samanta Mela, Lisa Polese, Veronica Socci, Nives Timpani, Maria Teresa Volpi.
Sono vestite di nero, strette l’una accanto all’altra, sono le donne che daranno voce ad altre donne, quelle che grazie a Charlotte Delbo non sono state dimenticate, quelle donne che hanno vissuto le atrocità di Auschwitz.
Ieri sera, 27 gennaio, Giorno della Memoria, il Nuovo Teatro delle Commedie ha ospitato la lettura scenica, tradotta in italiano da Federica Quirici, dell’opera teatrale “Chi porterà queste parole?” di Charlotte Delbo, drammaturga e resistente francese (di origini italiane) che sopravvisse all’orrore dei campi di concertamento. La lettura è stata portata in scena dall’Associazione Effetto Collaterale, fondata da Francesca Talozzi e Alessia Cespuglio.
È proprio l’attrice Alessia Cespuglio a prendere la parola, poco prima dell’inizio della lettura, davanti al pubblico che ha riempito completamente la platea del teatro. Cespuglio ha sottolineando la necessità, l’urgenza di portare in scena questo spettacolo che vuole anche ricordare Francesca Talozzi drammaturga e regista scomparsa lo scorso maggio, nota in città anche per il suo attivismo sociale e l’impegno per la memoria del Moby Prince. Fu proprio Francesca a scoprire e poi studiare la figura di Charlotte Delbo per poi portare in scena, per la prima volta, nel 2015 il testo insieme ad Alessia Cespuglio.
Una volta terminata l’introduzione, si diffonde nella sala del teatro il suono della chitarra di Antonio Ghezzani, mentre le 19 donne sul palco raccolgono da terra un fazzoletto di colore nero o rosso e lo legano attorno alla testa, si siedono sulle tavole del palcoscenico e poco dopo parte la lettura. È un dialogo tra le donne, nel testo di Delbo sono 23, sono partigiane francesi, come Delbo, prigioniere politiche deportate nel lager nazista di Auschwitz.
Furono 230 in tutto le donne provenienti da tutta la Francia e di diverse classi sociali che, per ragioni inspiegabili, furono inviate ad Auschwitz che non radunava prigionieri politici. Di quelle 230 donne se ne salvarono solo due, tornate da dove nessuno è mai tornato.
Un dialogo serrato in cui le donne raccontano della fame e della sete, del freddo pungente che entra nei polmoni, che fa gonfiare le gambe, degli aguzzini che le fanno correre nonostante siano senza forza.
Una delle donne racconta di avere la dissenteria, di sentire il suo corpo svuotarsi completamente e di sentirlo sempre più debole, non ha acqua per lavarsi, racconta che ha provato con la neve ma è troppo fredda. Alcune delle donne parlano di una di loro che si era allontanata dal gruppo per un bisogno fisiologico e che gli aguzzini avevano picchiato, era quindi sopraggiunta un’altra donna per difendere la prima e i nazisti l’avevano colpita ripetutamente con un bastone, sulla testa, sugli occhi, fino a farla morire.
Nel testo, Charlotte racconta delle lunghe chiacchierate di notte tra le prigioniere: la paura di ciò che le attenderà il giorno dopo, il freddo, i sogni, i racconti sul cibo, la voglia di morire, di lasciarsi andare per smettere di soffrire, ma allora “Chi porterà queste parole?” e quindi ognuna di loro infonde coraggio nell’altra per resistere, per non morire. Ed è proprio una di loro che all’inizio voleva morire che, grazie al supporto delle altre donne, riuscirà a resistere fino alla fine e sarà una delle due sopravvissute. Man mano che le donne sul palco finiscono di leggere perché il loro personaggio è morto, si tolgono il fazzoletto dai capelli e restano in silenzio.
Le donne raccontano delle compagne condotte alle camere a gas e poi c’è una delle ultime rimaste vive, dopo 70 giorni di violenze e privazioni, alla quale viene imposto di entrare a far parte del gruppo di coloro che devono gettare vivi i bambini in una fossa e poi bruciarli, un ordine che la donna non può accettare e al quale si sottrae facendosi fucilare. Momenti tragici, enfatizzati dalla musica della chitarra di Antonio Ghezzani.
70 giorni di terrore e di morte che si concludono con l’arrivo della primavera, il sollievo dal freddo e la liberazione. Una liberazione che si scioglie nell’applauso scrosciante del pubblico al termine della lettura scenica, c’è chi si alza in piedi per sottolineare la bravura delle attrici che a stento trattengono le lacrime. Forte la commozione di tutte le donne sul palco, gli occhi lucidi e le voci rotte mentre ringraziano i presenti e tornano a ricordare Francesca Talozzi, considerata un punto di riferimento e una persona che ha cambiato le loro vite.
Il pubblico esce lentamente dalla sala, a casa porterà tante emozioni, tante domande e un foglietto ripiegato in quattro con un triangolo rosso, il triangolo dei prigionieri politici, un omaggio di Clara Rota, sul quale sono riportate queste parole di Charlotte Delbo: “Poiché ritorno da dove nessuno mai è ritornato, voi credete che sappia delle cose e impazienti mi venite incontro pieni di domande, di domande informulabili. Voi credete che io conosca le risposte. Io conosco solo ciò che è evidente. La vita. La morte. La verità. Sono reduce dalla verità”.
Foto di Glauco Fallani
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