
Pubblicato ore 11:05
- di Gianluca Donati
LIVORNO – Ieri sera, 1 ottobre, è andato in scena un insolito spettacolo teatrale molto sperimentale dedicato alla memoria del grande poeta, regista e intellettuale Pier Paolo Pasolini, la rappresentazione recava il titolo di “In forma di rosa”, e si è svolto al “Libero Territorio Bororo” in Piazza della Repubblica 44/45 a ingresso libero.
Non dovete immaginarvi un normale spettacolo teatrale con una platea e un palcoscenico frontale. No, la regista Barbara Idda ha deciso di allestire uno spettacolo “circolare”; il pubblico doveva posizionarsi al centro della sala, mentre gli attori si sono esibiti “attorno” al pubblico, non in un’unica direzione, ma da più direzioni. Una scelta coraggiosa questa, perché non sempre lo spettatore aveva la visione dell’attore ma ne sentiva solo la voce.
Una scelta registica sperimentale e intellettualistica, che ha avuto l’intenzione di “immergere” letteralmente il pubblico “dentro” lo spettacolo, renderlo parte integrante della scena, togliere la separazione tra pubblico e attori, rendere e creare una interazione tra artisti e spettatori.

Le letture e la recitazione sono state affidate a Stefania D’Echabur, Marzia Maestri, Debora Mattiello, Claudia Pavoletti, Patrizia Romano, Mascha Stroobant. Con la partecipazione di Dario Pontuale e le opere di Valentina Restivo. A impreziosire la serata la presenza di Marina Mulopulos, cantante italo-greca, ma anche autrice e compositrice, voce unica nel suo genere. L’evento si inserisce nel progetto “La Roma di Pasolini, rete urbana”.
La narrazione parte dalla descrizione del giorno della drammatica morte di Pasolini avvenuta il 2 novembre del 1975, comunicando al pubblico l’incredulità di questo fatto che spiazzò l’opinione pubblica. All’improvviso alle mie spalle sento un’attrice-cantante esibirsi in un breve canto (la voce è bella, il canto perfetto, ma devo voltarmi per cercare di vederlo e anche così non riesco perché il pubblico in piedi mi sbarra la visuale).
Ed ecco che da un altro angolo della stanza scorgo in mezzo al pubblico un’altra attrice che srotola lungo la parete un ritratto disegnato in sanguigno della grande attrice Anna Magnani (tutti i disegni sono opera di Valentina Restivo). Colei che inizia a leggere il suo monologo rappresenta appunto, l’attrice romana, Premio Oscar nel 1956 come miglior attrice protagonista per la performance di “La rosa tatuata” film diretto da Daniel Mann. L’attrice ovviamente, si cala nel ruolo della Magnani e narra della sua esperienza recitativa in “Mamma Roma” di Pasolini, secondo lungometraggio del regista poeta, realizzato nel 1962. Il monologo narra delle difficoltà di recitare in questo film, di quanto fosse incompatibile la recitazione dell’attrice con lo stile e il ritmo cinematografico del regista nato a Bologna. Anna Magnani era abituata a “ritmi lunghi”, Pasolini invece gira breve sequenze, frammenta la narrazione con il montaggio, con inquadrature fugaci: è lo stile inconfondibile di Pasolini regista. Nel monologo, l’attrice che impersona Magnani dice che Pasolini è abituato a lavorare con attori presi dalla strada (come si faceva spesso nel neorealismo), mentre Magnani è un’attrice professionista, e questo crea delle contraddizioni all’interno della pellicola. Racconta quindi del suo rapporto con Pasolini e ammette che era un rapporto difficile anche se mai sfociato in scontro, prevaleva sempre il rispetto reciproco. Quando “Mamma Roma” uscì nelle sale il film non convinse né Magnani né Pasolini (personalmente lo preferisco persino al film d’esordio “Accattone” del 1961).

Durante tutto lo spettacolo, i monologhi delle diverse attrici saranno spesso intramezzate dall’attore-cantante, con lo scopo di spezzare la narrazione precedente e introdurre il monologo successivo. Ed ecco che un’altra attrice, da un altro lato della stanza, srotola un disegno che ritrae in tratto sanguigno, Maria Callas, la celebre soprano, un’altra donna che conobbe molto da vicino Pasolini. Il monologo racconta l’incontro con il poeta, avvenuta nel 1969 (data per l’appunto del film “Medea”) che vede Callas protagonista. Medea – che fu una figura della mitologia greca figlia di Eete, re della Colchide e di Idia – era un personaggio che Callas aveva interpretato più volte in teatro, ma mai nel cinema, forma d’arte che considerava incompatibile per lei, e – continua il monologo dell’attrice che la impersona – la “divina” Callas rimase sorpresa quando il produttore propose all’intellettuale Pasolini di scegliere lei per impersonarla nella sua trasposizione cinematografica. Siamo già nel Pasolini “tardo”, non più quello che narrava le borgate di Roma, ma che allungava il suo sguardo verso il Terzo mondo, e infatti il cantante-attore introduce l’attrice che impersona Callas, con un canto vagamente mediorientale. Ma il monologo dell’attrice che impersona il soprano, si sofferma sul suo rapporto con Pasolini, su come la stampa speculò su una celebre foto che ritraeva la cantante baciare sulle labbra l’attore omosessuale, alludendo a un rapporto morboso tra i due, un amore più che platonico. Il monologo racconta come Callas arrivò a illudersi che tra i due potesse esserci davvero una relazione amorosa, ma l’amore era solo da parte di lei.
Arriva poi il momento del ritratto in sanguigno con il volto di Laura Betti. Il monologo è tutto incentrato su Roma della quale – dice – non le piace nulla – la trova cinica, cimiteriale, “puzza di morte”, ma ama la Roma di Pasolini, poetica, quella delle borgate; “andarci con Pasolini era come andarci con un Re, perché Pasolini aveva “cantato” le borgate romane, con le sue poesie e il suo cinema” dice. Poi inizia a recitare una celebre e struggete poesia di Pier Paolo “Io sono una forza del passato” (questa poesia viene recitata anche da Orson Welles nel episodio “La ricotta” diretto dallo stesso Pasolini, racconto di un film corale, “Rogopag”, nel quale Welles indossando degli occhiali identici a quelli di Pasolini, si fa portavoce della denuncia sociale della poesia pasoliniana).
Un’altra attrice si aggira tra il pubblico, vestita di nero, con una rosa in mano, interagisce con gli spettatori e recita un monologo in francese.
Tra le donne a cui è stata data voce c’erano anche Oriana Fallaci e Amelia Rosselli.
Dopo aver ascoltato le testimonianze delle donne che hanno conosciuto Pasolini (Anna Magnani, Maria Callas, Laura Betti), ascoltiamo la testimonianza di Pasolini in persona (interpretato dallo scrittore Dario Pontuale) che inizia un breve monologo dedicato a sua madre, esprimendo l’immenso amore che provava e prova per lei. Pontuale è stato per tutto lo spettacolo seduto vicino a un disegno in sanguigno raffigurante Pasolini. Al termine ha intonato la canzone “Cosa sono le nuvole” struggente brano che Domenico Modugno canta e recita nell’omonimo episodio cinematografico del film corale “Capriccio all’Italiana”, con le note di Modugno e testo di Pasolini tratto da Shakespeare.
Non è un caso che dopo il monologo commemorativo di Pasolini rivolto alla madre, ma che è intriso anche della precoce e violenta morte dell’intellettuale, lo spettacolo chiuda con questa canzone che accompagnava una delle più riuscite opere cinematografiche di Pasolini, appunto, “Cosa sono le nuvole”, film che rifletteva sulla vita, sulla morte, sull’Aldilà e su Dio.
Lo spettacolo finisce e un lungo applauso arriva dagli spettatori che hanno dimostrato di apprezzare, grazie anche ad un testo impeccabile e alle ottime performance di attrici e attori nella lettura dei testi o nell’esecuzione delle canzoni che intramezzavano i vari monologhi. Unica pecca, lo spazio forse un po’ troppo piccolo che ha impedito agli spettatori di avere una visione accurata dello spettacolo.
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