Soldo di Cacio: radio e cinema, quale sarà il loro destino?

A scrivere è il personaggio del romanzo di Michele Cecchini

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Pubblicato ore 12:00

N. 82.

Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.

O Cacini,
spesso te ci parli di libri, qualche volta di cinema e quasi nulla di musica. Possibile che le altre arti ti interessino così poco?
Via, vedi di allargarti un po’ e racconta.
Gino (Venezia)

Benvenuto Gino, e grazie per le sue righe.

Che le devo dire. Il mio autore mi ha concepito come insegnante di educazione artistica, per cui da sempre sono prigioniero di questa storia che nelle cose intorno a me mi diverto a ritrovare tracce e indizi dei dipinti che mi garbano. Ha visto che bel blu-Tintoretto aveva il mare di questi giorni? Anche se a guardare il mare ora come ora mi piglia parecchio male e mi viene a mente solo il dipinto di Turner “Il naufragio”, con il sottotitolo che è tutto un programma: “Barche da pesca che tentano di salvare l’equipaggio”. Credo non occorra aggiungere altro.

Insomma, Gino, se finora ho omesso la pittura dalla presente rubrichetta, la colpa è solo della mancata occasione. Ma la sua missiva capita a puntino coi discorsi che facevo l’altra mattina con degli amici al bar Quattro Mori. Mi par di capire – questa è la mia idea – che ci troviamo nel mezzo di una delicata fase di passaggio circa il destino di parecchi strumenti di espressione e di comunicazione, almeno per quanto riguarda la modalità con cui noialtri se ne fruisce.

Pensi al cinema, Gino: ormai molti preferiscono la visione domestica, magari su schermi di notevoli dimensioni e con un bell’impianto audio. Il mio amico Massimo, alle prese da sempre con una capillare quanto eroica opera di divulgazione cinematografica, insisteva sull’importanza non solo di vedere film, quanto di vederli in sala, essendo quello il luogo deputato. E guai. Altrimenti è tradimento e si va contro natura. Come entrare a film iniziato.

Ma le nuove generazioni frequentano il cinematografo? Ce l’hanno come abitudine? E le vecchie, di generazioni, l’abitudine l’han persa? Io, sinceramente, non lo so.

Pensi alla radio, Gino. La musica molti la ascoltano su quelle diavolerie elettroniche che fan girare il capo ma son tanto comode. Valerio, un altro mio amico, rammentava di quando da ragazzi le radio libere passavano di tutto, anche roba mai sentita prima. E poi c’erano le dediche e gli approfondimenti, e la radio era evasione e presa di coscienza.

Io le confesso, Gino, che la sera mi garba e di molto l’ascolto radiofonico in poltrona, mentre sbircio fuori dalla finestra e mi gusto un bel bicchiere di spuma – lo so che con la spuma tolgo drasticamente poesia a questa fascinosa immagine, ma io bevo poco o nulla gli alcolici, e confido nel suo perdono.

La mia amica Federica raccontava divertita che il susseguirsi delle trasmissioni radiofoniche, al mattino, la agevola nel dettarle i tempi delle mansioni prima di uscire di casa. Marco sostiene che manca il tempo per un ascolto denso, profondo: fare tutto di volata comporta la mancanza di pazienza nel mettersi lì e prestare l’orecchio giusto ai ragionamenti. Ma questa è una cosa che vale non solo per la radio, temo.
Giancarlo invece diceva di esser contro il ritmo sincopato di certe trasmissioni contemporanee, e che si ritrova in quelle rubriche dove si ragiona parecchio di pallone, con tutta calma e per benino. Marco a un certo punto ha tirato fuori la faccenda dei Podcast. Li conosce, Gino? Sarà questa l’evoluzione delle radio?
A me la radio mi fa simpatia perché dà voce a noialtri personaggi. Infatti è uno dei pochi posti rimasti dove si parla approfonditamente e con tutti i crismi di libri.
Almeno lì, in quanto personaggio, trovo un po’ di soddisfazione, anche in considerazione di come siamo fatti noialtri: cioè non di ciccia ma invisibili e dritti tra i pensieri della gente. Paro paro ai discorsi che passano per radio.

Ma insomma le nuove generazioni frequentano la radio? Hanno questa abitudine? E le vecchie, di generazioni? Io, sinceramente, non lo so.

Alla fine, Gino, lo vede anche lei: a me i problemi mi garba porli, più che risolverli, perché figuriamoci se c’ho ricette nella tasca. Si starà a vedere la piega che pigliano le cose. Ma sotto sotto le confesso – anzi a dirla tutta ne sono certo – che gira e rigira queste forme di espressione troveranno la maniera, con gli opportuni accorgimenti e cambiamenti, di sopravvivere ed anzi prosperare, per un motivo che per me è più che sufficiente: hanno a che fare con la poesia. Questo basta e avanza. O no?
Un abbraccio,
Cacio

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