Un livornese in viaggio: Basilicata e Salento. Alla scoperta della storia e della cultura

Da Livorno a Santa Maria di Leuca

Affresco nella Basilica di Sant'Angelo in Formis. Foto: Glauco Fallani
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Pubblicato ore 14:00

  • di Diletta Fallani

Partenza verso il Sud non solo alla ricerca dei monumenti e dei luoghi d’arte più caratterizzanti e significativi, ma anche e soprattutto alla ricerca di quegli spazi vasti e incontaminati che ancora, e non si sa per quanto tempo, caratterizzano zone come la Basilicata ed il Salento più rurale.

Basilica di Sant’Angelo in Formis. Foto: Glauco Fallani

Il bello sta, insomma, nel viaggio stesso e non tanto nella meta: guidare tranquilli e senza orari su strade semi deserte ben diverse e lontane dalle autostrade, avendo e trovando il tempo di guardarsi intorno, di fermarsi sotto l’ombra di un grande albero per prendersi un po’ di fresco o ad una delle molte sorgenti che si trovano lungo la strada. Fermarsi ad ammirare ed entrare in qualche trullo da tempo abbandonato nelle campagne di Alberobello e trovare il tempo per scambiare qualche parola con un contadino che sul far della sera lavora la terra lì intorno. Non fermarsi a vedere i primi Sassi in tufo di Matera, ma inoltrarsi e andare oltre fino a scovare i Sassi veri e propri, quelli scavati nella roccia e in buona parte abbandonati.

Una terra magnifica, piena di castelli e vestigia dei normanni, ma anche portatrice di una radicata “resistenza” alla modernità che la rende unica e, a mio avviso, le fa anche onore. Il viaggio, da Livorno a Santa Maria di Leuca (punta estrema dello stivale) e ritorno senza mai ripassare da luoghi già percorsi ha coperto una distanza di 2560 Km. In questa serie di brevi reportage cercherò di raccontarlo per immagini e scrivendo qualche curiosità particolare.

Prima tappa

Il ponte romano a Capua. Foto: Glauco Fallani

Capua, vivace cittadina in provincia di Caserta e il vicino agglomerato di Sant’Angelo in Formis, attrazione principale. Capua: fondata dai  Longobardi sul sito dell’antica Casilinum romana in seguito alla distruzione dell’Antica Capua godeva di una posizione strategica sul fiume Volturno e sulle antiche  Via Appia e Via Casilina. Della via Appia fanno infatti parte il Ponte Romano e le adiacenti Torri di Federico II delle quali sono ancora visibili i possenti basamenti. I resti del ponte della  via Appia sul  Volturno, costituiscono il principale reperto romano di Capua in corrispondenza della porta di uscita verso Roma.

Nel  1234  l’Imperatore Federico II, ordinò la ricostruzione di quella che fu, fin dall’antichità la principale porta d’ingresso della cittadina, egli si volle ispirare alla monumentalità tipica degli Archi di Trionfo Imperiali Romani, come segno di sfida verso lo Stato Pontificio. Terminato verso il 1240, il complesso monumentale della  Porta di Capua fu fonte d’ispirazione degli ideatori dell’Arco trionfale aragonese, voluto al Castel Nuovo di Napoli da Alfonso V d’Aragona. Il complesso subì però due demolizioni: la prima parziale nel  1557, per adeguarlo ai principi della  fortificazione alla moderna; l’ultima durante i bombardamenti nel  1943, che distrussero il Ponte Romano. Oggigiorno si possono ammirare soltanto le testate del Ponte e le basi delle due Torri, mentre al  Museo Campano  sono conservate alcune delle statue ornamentali.

Sant’Angelo in Formis

Affresco nella Basilica. Foto: Glauco Fallani

La suggestiva e unica Basilica è arricchita su tutte le pareti interne da un ciclo di rarissimi affreschi dai quali irradia lo splendore dell’arte bizantino-campano-cassinese. Sono stati eseguiti addirittura agli albori del secondo millennio tra il 1072 ed il 1078, quando ancora in gran parte della penisola si usava decorare le pareti delle Chiese con i mosaici.

Il ciclo di Sant’Angelo in Formis può presentarsi, quindi, come il punto di partenza della pittura romanica pur conservando due caratteristiche del Bizantinismo tradizionale: la non compenetrazione dei soggetti nella stessa scena e la non profondità della prospettiva. Il ciclo di  affreschi  è attribuibile alla ricostruzione della chiesa ad opera dell’abate Desiderio, come testimonia il suo ritratto nell’abside della chiesa con il  nimbo  quadrato (utilizzato per distinguere i personaggi viventi), mentre offre a Cristo il modello della chiesa, e l’epigrafe  sul portale d’ingresso.

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