
Pubblicato ore 12:42
- di Gianluca Donati
LIVORNO – Geniale! Non posso usare altri termini per definire lo spettacolo che è andato in scena ieri sera venerdì 9 dicembre al Teatro Goldoni, “Misery”, tratto dal romanzo di Stephen King del 1987, dal quale era già stata tratta una celebre pellicola cinematografica “Misery non deve morire” diretto da Rob Reiner, uscito nel 1990. Romanzo e film terrorizzanti, allucinati. Della storia non dirò nulla soprattutto per non “spoilerare” a coloro che non avessero letto il romanzo o visto il film, mi limito a rimandarvi all’articolo precedentemente pubblicato dal nostro giornale.
Quello che io scriverò in questo articolo, è una personale recensione dello spettacolo che è andato in scena e che mi ha sorpreso, colto alla sprovvista, perché ho trovato qualcosa che non mi aspettavo. La narrazione è più o meno fedele alla storia originale, ma invece che vertere sul thriller puro, punta sulla comicità, o quanto meno, sull’ironia, seppur tinta di “nero”, e infatti, la rappresentazione ha strappato non poche risate al pubblico oltre che ad applausi, qualche volta anche a scena aperta.
Potremmo definire lo spettacolo teatrale “Misery” come una “commedia nera”, magistralmente diretta da Filippo Dini, e si è servita di una scenografia ingegnosa che è il punto di forza principale dello spettacolo, oltre alle grandi prestazioni interpretative degli attori: Arianna Scommegna, Peppino Mazzotta e Carlo Orlando, tre attori, solo tre, che tengono in piedi perfettamente lo spettacolo, senza mai annoiare gli spettatori, anzi, tenendoli inchiodati sulle poltrone, in bilico tra orrore e risate amare.
Appena si apre il sipario, la scena è buia e si è avvolti da una musica di atmosfera agghiacciante curata da Arturo Annecchino. Poi i riflettori rivelano la scena, e subito si grida al capolavoro! Una stanza con prospettive deformate, in tipico stile espressionista. Un letto sul quale già troviamo il protagonista maschile, lo scrittore Paul Sheldon è posto in un angolo, e accanto a lui, il personaggio di Annie Wilkes, l’infermiera mentalmente disturbata che per tutta la vicenda sarà la sua carceriera. Il letto è tra due pareti che lo imprigionano, come se sprofondasse; sulla parete di destra una grossa finestra dalla quale entra la luce di fuori, sulla parete di sinistra una porta. Sopra il letto un crocefisso (Annie Wilkes è un’invasata religiosa, bigotta, e la religione ha un ruolo principale nella personalità alienata della protagonista femminile).
A forzare le prospettive della scenografia già deformata, giocano anche le luci curate da Pasquale Mari (Premio Ubu 2021), che combinate tra loro, ricreano l’atmosfera claustrofobica della messa in scena. E le luci cambieranno continuamente durante lo spettacolo, a indicare il trascorrere del tempo, passando dall’alba al tramonto, da giorno a notte, secondo delle esigenze del copione (traduzione di Francesco Bianchi), cosicché si assiste a dei salti temporali senza dover cambiare scena, sono le luci (uno dei punti di forza maggiori dello spettacolo) a scandire lo scorrere del tempo.
Gli attori si dimostrano bravissimi sin dalle prime battute, una recitazione sublime, ma la cosa più sbalordita sono le scenografie di Laura Benzi (che ha curato anche i costumi), perché se già il fondale d’apertura citato è straordinariamente suggestivo e sarà la stanza “protagonista” dello spettacolo, dove si svolge la maggior parte dell’azione, a un certo punto avviene il colpo di scena. Senza dover chiudere il sipario o spegnere le luci, la scenografia muta, attraverso un escamotage geniale, che è l’aspetto più stupendo dello spettacolo. La scenografia infatti, all’improvviso “ruota” su sé stessa, scorre, e uscendo di scena la stanza terribile dove è tenuto prigioniero Paul Sheldon, entrano in scena, altre stanze, altre scenografie, della casa, e persino, l’esterno, la porta d’ingresso vista dal fuori.
Per tutto lo spettacolo, non si ricorre alla chiusura del sipario (se non tra la fine del primo atto e l’inizio del secondo) o spegnimenti dei riflettori, ma si ricorre a questa trovata geniale, di far ruotare in una direzione o nell’altra una struttura irregolare, più o meno cubica, che svela di volta in volta le varie stanze della casa o l’esterno.
La combinazione di regia e scenografia ha giocato un ruolo centrale in questo spettacolo, riuscendo alla perfezione. Anche le altre scene, sono perfettamente curate, ma regista e scenografa sono stati ben attenti a far sì che la stanza della prigionia di Paul, sia diversa dalle altre, mostruosa, nella sua deformazione prospettica e nelle luci spesso tetre, ricordando la pittura o il cinema dell’espressionismo.
Al termine dello spettacolo, il pubblico, abbastanza numeroso, ha lungamente applaudito lo spettacolo e i tre attori. Uno spettacolo veramente avvincente, di “umorismo nero” e nei momenti più “forti” di paura, terrore puro. Ho già detto che “Misery” andato in scena al Teatro Goldoni è geniale? Lo ripeto: geniale!
Alcune foto dello spettacolo
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