
Pubblicato ore 14:00
- di Gianluca Donati
“Trinità” (Terence Hill), è un pistolero pigro ma veloce come un fulmine, e assieme a suo fratello “Bambino” (Bud Spencer), decidono di aiutare una comunità di mormoni a difendere le loro terre dalle razzie del maggiore Harriman (Farley Granger) che vorrebbe trasformarle in pascoli per le sue mandrie, spalleggiato della banda di messicani di Mezcal. Bambino che dopo aver rubato la stella a uno sceriffo, si finge un tutore della legge, è in realtà un ladro di cavalli e mira alla mandria del maggiore, ma Trinità che è di buon cuore ne farà un dono per i mormoni.
Terence Hill e Bud Spencer sono stati una delle coppie comiche cinematografiche più famose e più riuscite al mondo. Insieme hanno realizzato ben 18 pellicole; dopo una celebre e riuscita trilogia western diretta da
Giuseppe Colizzi, i due si ritrovarono casualmente di nuovo insieme nel 1970 come protagonisti di “Lo chiamavano Trinità” di E.B. Clucher (alias Enzo Barboni). La pellicola ebbe un successo travolgente al punto che ebbe un sequel nel ’71 in “Continuavano a chiamarlo Trinità”, ed entrambi i film sono risultati sempre campioni d’ascolti negli innumerevoli passaggi televisivi.
In “Lo chiamavano Trinità” viene perfezionata la caratterizzazione della coppia che era stata abbozzata nella trilogia western di Colizzi ed emerge completamente l’elemento comico basato sulle celebri “scazzottate”. Trinità è scanzonato, giocherellone, attaccabrighe, e Bambino, orso ma buono. Ciò che motiva le azioni di Trinità è l’altruismo verso i più deboli, ma per riuscire nei suoi intenti ha bisogno dell’aiuto di Bambino, e per coinvolgerlo deve attirarlo con la promessa di un premio finale che alla fine finisce invece ai più bisognosi. È un meccanismo narrativo che diventerà il marchio di fabbrica anche per i film a venire di Bud e Terence.
Con un perfetto mix di battute comiche e di slapstick, sono molte le scene entrate nel mito, a partire dai titoli di testa con Trinità sdraiato sulla sua celebre slitta trainata dal cavallo, sulle note della canzone eseguita dall’italo-australiano Annibale Giannarelli; o l’abbuffata di fagioli divorati direttamente dalla padella (scena che per poterla girare richiese un digiuno di 24 ore di Hill); o l’indecorosa fuga in mutande dei pistoleri, il glaciale Mortimer e il suo spavaldo aiutante; la sventola di Bambino a Mezcal (inventata da Bad e da lui denominata “a piccione”) che lo fa girare su se stesso e cadere a terra annichilito: “Mezcal non dimentica!”, e Trinità che risponde laconico: “Lo credo bene!”; la canna della colt infilata nella narice di Emiliano – spia di Mezcal – che lo farà cantare come un uccellino: “Emiliano dice tutto gringo!”. E ovviamente tante divertentissime scazzottate dove miracolosamente non viene versata mai una goccia di sangue, perché sono botte tutte da ridere. “Lo chiamavano Trinità” compie 50 anni ma non li dimostra, ogni volta fa ridere sempre come fosse la prima volta.
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