Film per sorridere un po’: “Il fico d’india”, divertimento tra gag ed equivoci

Tema al centro della pellicola è l’onore maschile

il fico d'india
Renato Pozzetto in una scena del film
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Pubblicato ore 12:52

  • di Gianluca Donati

Lorenzo (Renato Pozzetto) è il sindaco di un piccolo paese della provincia italiana, oltre ad avere una ditta di assicurazioni, ed è sposato con la bella Lia (Gloria Guida). Una sera, mentre Lorenzo è fuori per lavoro, il noto playboy Ghigo Buccilli (Aldo Maccione), s’introduce con l’inganno in casa e nel letto del sindaco, nella speranza di sedurre Lia. Rientrato a casa all’improvviso, Lorenzo sorprende i due e li minaccia con una pistola. Per lo spavento, Buccilli è colto da un infarto, l’uomo sopravvive, ma è costretto a letto per riposo. Ne seguono una serie di gag ed equivoci che costringono Lorenzo a stratagemmi per evitare che la notizia diventi pubblica…

È del 1980 questo film di puro intrattenimento, dal titolo “Il fico d’india” diretto da Steno (Stefano Vanzina); una pellicola sulla scia del precedente “La patata bollente” del ’79, sempre di Steno. Il padre dei fratelli Vanzina ha realizzato innumerevoli pellicole, dirigendo i primi film assieme a Mario Monicelli, per poi prendere una sua strada autonoma, dimostrando grande versatilità nel passare per diversi generi e affrontando diverse tematiche. Sceglierà quasi sempre la “leggerezza” e il tono da “commedia”, ma Steno era un regista molto intellettuale d’idee liberali.

Nel caso de “Il fico d’india”, il tema messo scherzosamente alla berlina, è quello dell’onore maschile offeso da una presunta infedeltà adulterina da parte della moglie Lia, presunta, perché in realtà ella non ha mai tradito Lorenzo, neppure con il pensiero. La storia si regge su questo equivoco, e sul terrore che si diffondano dei possibili pettegolezzi. Lorenzo se la deve così vedere con il parroco del paese spettegolo, con il commissario di polizia (Gianfranco Barra), e con il giornalista Lanzarotti in cerca di scoop, ma soprattutto con una banda di teppisti da strapazzo denominata “Belve”, il quale capo è Diego Abatantuono allora agli inizi della sua carriera comica come “terrunciello”. La partecipazione di Abatantuono – seppur in un ruolo secondario – se da una parte può sembrare superflua, insaporisce molto il film, garantendo molti momenti d’ilarità.

Se la recitazione di Gloria Guida lascia a desiderare, la sua presenza non ha la funzione pruriginosa che l’aveva vista una delle protagoniste del decennio cinematografico italiano precedente. Gli altri attori sono all’altezza della parte a loro attribuita, e garantiscono al pubblico risate certe.

Il pregio del film – oltre al divertimento – è di aver saputo trattare il tema senza scadere nella volgarità o nel pecoreccio, insidia possibile considerando l’argomento. Al tempo stesso non ha pretese intellettuali, solo una morale liberatoria di fondo, che invita il pubblico a non giudicare le cose dalle loro apparenze e ad avere uno sguardo più moderno e meno prevenuto. Un film adatto per ridere in semplicità.

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