
Pubblicato ore 14:00
- di Glauco Fallani
Magnifico sequel del campione di incassi di tredici anni fa.
C’era un solo modo per superare l’altro “Avatar” dal punto di vista visivo e James Cameron (già regista di “Titanic”) l’ha centrato in pieno trasportando gran parte degli avvenimenti dalla pseudo foresta del primo film ad un fondale marino a dir poco strabiliante in “Avatar, la via dell’acqua“.
La trama? Avvincente a dire poco. C’è forse qualcosa che sia più capace di catturare il cuore e l’attenzione dell’immenso pubblico al quale il colossal è destinato, se non vedere personaggi tra i più amati lottare con ogni mezzo e fino allo spasimo pur di mantenere in vita i propri figli e l’integrità della famiglia? L’esilio, la diffidenza verso chi è diverso, la solidarietà tra reietti siano esse persone piuttosto che animali (mi riferisco al mastodontico quanto magnifico Tulkun), i cambi di ritmo talvolta imprevedibili, l’indicibile crudeltà di certi umani, tutti elementi più che sufficienti per catturare ed inchiodare alla poltrona ogni spettatore, per far capire ad ognuno da che parte è giusto stare. Tre ore e dieci minuti di spettacolo ad altissimo livello sotto ogni punto di vista, questo è “Avatar-la via dell’acqua”.
La Terra, lontanissima, è in procinto di concludere il suo ciclo vitale tanto che ogni suo abitante andrà presto trasferito altrove, che c’è di meglio di Pandora? E tra due “mondi” tanto diversi, tra due modi di essere tanto lontani la colonizzazione non ha alcuna possibilità di essere pacifica. Ecco, dunque, che lo spietato colonnello, tenacissimo cattivo nel primo capitolo di tredici anni fa (fino ad oggi campione assoluto di incassi dell’intera storia del cinema) viene rimesso in vita nei panni di un na’vi e, con un gruppetto di marines pronti a tutto pur di assecondarlo, si dimostra pronto a riprendersi la scena, a cercare la vendetta personale. C’è anche un generale, e guarda caso si tratta di una donna, che nell’economia della trama non si spinge mai al di là di quello che compete a un personaggio abbastanza marginale.
Da parte sua Jake Sullivan (Sam Worthington) che è diventato un Na’vi in tutto tranne per la quasi insignificante differenza nel numero delle dita delle mani, non cerca per sé ed i suoi cari altro che pace. Una famiglia composta da lui, la compagna Neytiri (Zoe Saldana) e ben quattro figli, una tra i quali è stata adottata dopo la scomparsa della dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver). Una bella famiglia del tutto felice fino a che per non mettere a repentaglio la stessa esistenza degli altri del villaggio si trova costretta ad andare in esilio.
Dalla foresta si passa quindi al mare, in un clan dalle abitudini tanto diverse da non rendere facile, soprattutto per i figli, la nuova sistemazione. Ed è qua che la creatività degli autori può sbizzarrirsi senza freni. Tra le decine e decine di nuove creature che abbiamo modo di vedere spiccano senza ombra di dubbio le tulkun, una sorta di simil-balene che possono superare i novanta metri di lunghezza e sono connesse emotivamente con gli abitanti del popolo della scogliera. Creature inoffensive, possenti e meravigliose che hanno in sé perfino il dono della musica. Ed è qua, durante una spietata caccia ai giganti del mare che ha precedenti soltanto in “Moby Dick” che si punta decisi su una madre per il più ovvio tra i motivi: rallentata dalla sua piccola creatura si potrà ucciderla con gran facilità.
Ed è ancora qua che l’avidità fine a se stessa che secerne senza controllo da un modo di pensare che caratterizza da millenni la nostra società ha modo di mostrarsi in tutta la sua stupida ed insopportabile crudeltà: «Si è beccata un arpione esplosivo in pieno petto e ancora corre: bellissima!» grida ridendo senza ritegno quello che in passato sarebbe stato un baleniere. Una frase terribile che me lo ha fatto odiare, che mi ha chiamato ad un confronto tra il paradiso che Pandora è per un na’vi e quello che per noi dovrebbe essere la Terra. Il nostro unico pianeta, il nostro paradiso che con ogni mezzo andrebbe difeso pur di lasciarlo intatto ai nostri figli ed a coloro che verranno. A partire da oggi dovremmo fare ogni sforzo per diventare una volta per tutte “fratelli e sorelle nello spirito” con tutto quanto è naturale, seguendo alla lettera la lezione impartita dai na-vi.
James Cameron ha impiegato ben tredici anni per creare questo sequel pur di ottenere l’accuratezza necessaria. Basti pensare che per le scene subacquee ha fatto costruire una piscina lunga 36 metri e mezzo e profonda nove capace di contenere quasi 950 mila litri d’acqua, talmente grande da dimostrarsi perfetta nel replicare l’effetto-oceano e che per catturare i movimenti e le espressioni facciali del cast perfettamente riprodotti sulle loro versioni aliene di Pandora sono stati necessari ben 18 mesi di inappuntabile lavoro. Movimenti perfetti, così come pure le espressioni, nati dalla fervida immaginazione del premio oscar Debora L. Scott.
Insomma: dal punto di vista spettacolare e non solo si è trattato di un grande, grandissimo film che consiglio vivamente di vedere sul grande schermo e che, forse, sarebbe stato il caso di godersi una volta tanto addirittura in 3D cosa che, per lo meno al momento, nella nostra città non è possibile.
In conclusione non posso fare a meno di aggiungere un ulteriore dato: ben tredici anni sono passati tra il primo ed il secondo capolavoro di James Cameron sul popolo dei na-vi, ma, a quanto si dice, non sarà così per il futuro. L’uscita di “Avatar-Il portatore di semi”, di “Avatar- Il cavaliere di Tulkun” e di “Avatar- Alla ricerca di Eywa”, a cadenza di due anni l’uno dall’altro è già prevista. Così saremo a posto per i prossimi sei anni.
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