Film al cinema. “America latina”, viaggio ad altissima tensione emotiva con Elio Germano

Regia affidata ai fratelli D'Innocenzo, già autori di "Favolacce"

Elio Germano nel film
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Pubblicato ore 16:00

  • di Glauco Fallani

Nel bel mezzo dell’Agropontino un capofamiglia (Elio Germano) assolutamente “per bene” scopre con sgomento che c’è un qualcosa di molto inquietante nella vasta cantina della sua bella villetta isolata. C’è veramente? Oppure in quello spazio sta succedendo qualcosa di veramente inquietante? Si tratta di una discesa agli inferi che non mostra alcuna soluzione? Che procede di giorno in giorno e non potrà portare che all’abisso?

Qua comincia un viaggio nella mente umana e queste, e solo queste, sono le domande che dall’inizio alla fine attanaglieranno l’ignaro spettatore che, come me, si è recato al cinema per sedersi nella sua comoda poltrona e godersi una pellicola che, tra pandemia e conseguenti ritardi di lavorazione, attendeva ormai da tempo. Una storia, insomma, ad altissima tensione emotiva questa di “America latina” (un non luogo d’invenzione che nel film sta in provincia di Latina ma in realtà potrebbe essere ovunque purché in prossimità di una città talmente grande da far da polo per tutto ciò che ha intorno).

Si tratta, infatti, di un viaggio nel vissuto più profondo di un malato di mente capace di portare avanti una bieca nefandezza. Una persona che in apparenza appare normalissima, isolata, com’è, in mezzo ad individui che giorno dopo giorno vivono il loro quotidiano in case distanti e protette da alti muri. Persone che fisicamente si incontrano tra loro soltanto ogni tanto in rapporti altamente superficiali se non puramente formali. Individui che sembrano risolti ma troppo spesso, sotto una superficie disegnata dall’apparenza, nascondono qualcosa che può anche arrivare a dimostrarsi orribile. Ad un certo punto nel film si sente la tv che parla di un tizio che senza motivo ha sterminato la famiglia. Un fatto che, pur non facendo parte della storia raccontata, appare come un emblematico campanello d’allarme per una società che presenta sacche di disagio profondissimo.

Dall’inizio alla fine della storia raccontata si prende parte, si sta male immedesimandosi nell’interpretazione a dir poco superlativa di un credibilissimo Elio Germano. La regia attenta e puntuale fin nei minimi dettagli dei
fratelli D’Innocenzo (due giovani registi che con le loro ultime due opere si sono ampiamente guadagnati la qualifica di autori) ci prende per mano fino a renderci partecipi di un quotidiano che va progressivamente annegando nell’orribile. Ripeto: si sta male. Quindi il film non è per tutti. Coloro che a suo tempo si sono lamentati per il messaggio troppo di duro che hanno visto in “Favolacce” (2020) si aspettino questa volta qualcosa di molto, molto più forte. Un coinvolgimento emotivo di questo livello con un personaggio assolutamente negativo l’avevo già provato, ma solo per un film, sto parlando dell’altrettanto duro “La casa di Jack” (2018) di Lars Von Trier protagonista Matt Dillon.

Rimane il fatto che questo tipo di cinema è Arte ed è quello che amo di più: non è facile, non è solo uno spettacolo e non è per far cassetta. A questo riguardo mi sembra giusto citare quanto detto a riguardo dal protagonista Elio Germano in una recentissima intervista televisiva rilasciata a TV2000. “Il cinema di Damiano e Fabio D’Innocenzo” ha dichiarato “È arte di indagare, di aprire le sicurezze, di metterle in discussione, quindi è una ventata di libertà che ci ricorda che facciamo un mestiere artistico, che non siamo dei venditori”. Poche ma efficacissime frasi con le quali non posso che trovarmi pienamente in armonia.

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