Ciak Vintage. “Ladri di biciclette”, capolavoro neorealista

La pellicola è stata inserita nella lista dei “100 film italiani da salvare”

Enzo Staiola e Lamberto Maggiorani sono figlio e padre in "Ladri di biciclette"
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  • di Gianluca Donati

La trama

Antonio Ricci, un operaio disoccupato trova un posto come attacchino municipale, ma si richiede la bicicletta. Ricci ne possiede una ma è al Monte di Pietà; la moglie per riscattarla, impegna le lenzuola.

Antonio incomincia così il suo lavoro, ma improvvisamente, un ragazzo gli ruba il prezioso mezzo: si getta all’inseguimento del ladro ma invano. Denuncia il furto al Commissariato, ma senza nessuna speranza.

 

Ricci acciuffa il ladro

L’uomo ritorna a casa disperato. Baiocco, uno spazzino suo amico, si offre d’aiutarlo a ritrovare la bicicletta mobilitando i suoi colleghi netturbini. Si aggirano tra i rivenditori di biciclette a Porta Portese, ma non trovano la sua.

Ricci e suo figlio di sei anni Bruno, proseguono da soli la ricerca, quando improvvisamente l’uomo intravede il ladro e lo insegue. Attraversa così tutta Roma: vediamo la “mensa del povero” in una chiesa, una trattoria, una casa d’appuntamenti, infine il domicilio del ladruncolo, ma non ritrova la sua bicicletta e l’omertà degli abitanti della zona, induce Ricci a rinunciare.

Esasperato, decide di risarcirsi, rubando una bicicletta incustodita, ma viene subito inseguito e acciuffato, e solo i pianti del bimbo lo salvano dall’arresto. Padre e figlio tornano a casa, stanchi, disperati, e in lacrime, mano nella mano.

Oscar e nastri d’argento

Antonio, il figlio Bruno e gli amici a Porta Portese

È la commovente trama di Ladri di biciclette, capolavoro indiscusso del cinema neorealista del 1948 diretto da Vittorio De Sica, che vinse numerosi prestigiosi premi, tra i quali, l’Oscar miglior film straniero e ben sei nastri d’argento.

La pellicola è stata inserita nella lista dei “100 film italiani da salvare” ed è stata classificata in quarta posizione ne “I 100 migliori film del cinema mondiale – I più grandi film non in lingua inglese” dalla rivista Empire.

Il film trae vagamente ispirazione dall’omonimo romanzo del 1946 di Luigi Bartolini, dal quale Cesare Zavattini prende lo spunto per la sceneggiatura.

Povertà dell’Italia del dopoguerra

Sceneggiatura e regia sono perfette nella descrizione della disperata povertà dell’Italia del dopoguerra, meticolosamente raccontata, attraverso una Roma borgatara; come quando Maria – moglie di Antonio – porta le lenzuola al Monte di Pietà e la cinepresa inquadra una stanza altissima, dove sono visibili montagne di lenzuola impegnate fino al soffitto, dando l’idea dello stato sociale della popolazione italiana del dopoguerra. Oppure, nella scena della “mensa del povero” dove brulicano barboni assistiti da dame di carità della borghesia religiosa.

Antonio sta per appendere il manifesto

E se per tutta la durata del film lo spettatore non può fare a meno di provare pena per il protagonista e rancore per il ladro, quando finalmente Antonio trova il colpevole e lo costringe a farsi condurre nella sua abitazione, vediamo che questa casa è squallida e la condizione sociale del ladro e della sua famiglia è miserevole: anche il ladro è un povero Cristo disoccupato, nelle medesime condizioni di disperazione sociale di Antonio.

E, infatti, alla fine, anche Antonio si vede costretto a tentare di rubare una bicicletta, spinto probabilmente dalla stessa costernazione. Ma questa volta il furto viene visto con pietà, perché di Antonio e della sua famiglia, lo spettatore ha seguito tutta la vicenda, affezionandosi a loro, provando la loro stessa frustrazione, assistendo alla fuga del protagonista, inseguito dalla folla che lo cattura e lo umilia davanti allo sguardo incredulo e piangente del figlio.

E in un finale tipicamente chapliniano padre e figlio si allontanano, e prendendosi per mano si infondono reciprocamente il coraggio per tirare a campare.

Attori presi dalla strada

Enzo Staiola è Bruno

De Sica si autoprodusse, rifiutando i finanziamenti dei produttori hollywoodiani che chiedevano di dare il ruolo del protagonista, nientemeno che a Cary Grant. Fortunatamente De Sica, scelse invece un cast di attori “presi dalla strada”, come si usava frequentemente nel neorealismo; la parte di Antonio Ricci andò così a Lamberto Maggiorani un operaio che lavorava nella fabbrica romana della Breda, che dopo il film tornò a fare l’operaio, ma trovandosi improvvisamente licenziato per riduzione del personale, intraprese nuovamente la carriera dell’attore.

Per il ruolo di Bruno, invece, De Sica scelse Enzo Staiola, un bambino cresciuto nel popolare rione romano della Garbatella, scelto per via della sua caratteristica camminata e per l’istintiva espressività dei suoi occhi. Mentre il ruolo della moglie di Antonio, Maria, fu dato alla giornalista e scrittrice Lianella Carell.

La scelta neorealista e lo scherzo al piccolo “Bruno”

La scelta neorealistica di usare un cast non professionista, conferì alla pellicola una maggiore aderenza alla realtà com’era nelle intenzioni di De Sica e Zavattini. Grazie alla direzione di De Sica, gli attori recitano con una professionalità sbalorditiva, come fossero attori esperti.

Padre e figlio

Per ottenere il massimo del realismo, il regista escogitò geniali stratagemmi, come nel finale, quando, affinché il piccolo Enzo Staiola piangesse come da copione, mise di nascosto, delle cicche di sigaretta in una tasca della giacca del piccolo, accusandolo poi, davanti a tutta la troupe, di essere un fumatore, un “ciccarolo” (che raccoglie cicche nelle strade, per fumarle o rivenderle); Staiola, dopo aver cercato invano di discolparsi, incalzato dalle accuse del regista e dalle risate della troupe, scoppiò in un pianto a dirotto (aneddoto citato nel film di Ettore Scola “C’eravamo tanto amati”).

Baiocco, l’amico di Antonio, è doppiato da Aldo Fabrizi, mentre un generico nella parte di un venditore di biciclette in Piazza Vittorio è doppiato da Alberto Sordi. Nel film c’è anche Sergio Leone che fa la comparsa in una scena del film nella parte di un prete tedesco.

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