Al cinema: vi raccontiamo il film “Dante” di Pupi Avati

Dopo 20 anni di gestazione, l'opera ha visto la luce

Alessandro Sperduti è Dante
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Pubblicato ore 12:00

  • di Glauco Fallani

LIVORNO – Per chi volesse fare un vero e proprio tuffo nel medioevo l’ultima e lungamente meditata opera di Pupi Avati è recentemente arrivata nelle sale cinematografiche della nostra città. Si tratta di “Dante”, un film che dopo ben venti anni di gestazione ha finalmente visto la luce. Un lavoro che, tra l’altro, il noto regista ha voluto dedicare a Gianni Cavina, attore simbolo per la sua intensa produzione e recentemente scomparso.

In “Dante”, attraverso gli occhi di un anziano e malato Boccaccio, si racconta la vita del sommo poeta. L’amore che Avati prova per Dante fin da quando ha sentito il bisogno di rileggerlo dopo che il percorso scolastico era riuscito a renderglielo antipatico, lo ha portato a scrivere un libro sull’argomento: “L’alta Fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante”. Un libro che è poi stato il punto di partenza per la pellicola che adesso possiamo vedere in sala.

Alessandro Sperduti

La storia si dipana seguendo il punto di vista di Giovanni Boccaccio (Sergio Castellitto) che nel 1350 affronta un impegnativo viaggio alla volta di Ravenna dove Dante è morto in esilio nel 1321. Ed è qua che Avati mette in atto una scelta atta a rendere il film apprezzabile per i nostri giorni: l’autore del “Decamerone”, nonostante l’età avanzata, agisce, parla e si muove con modi non troppo distanti da quelli che un giovane di oggi potrebbe mettere in atto nei confronti di un proprio idolo (rock star o altro). Dante stesso non ci viene presentato come una statica ed immutabile icona rappresentante una pietra angolare della cultura nazionale ma come un giovane inesperto che, pur in buona fede e per nobili scopi, uno dopo l’altro commette tanti errori che lo porteranno a subire la più dura delle condanne, quella di non poter mai più vedere la sua amatissima Firenze. A Ravenna si trova l’unica figlia del Poeta che, nel frattempo, si è fatta suora, compito di Boccaccio è quello di consegnarle dieci fiorini d’oro, da parte di Firenze come tardivo risarcimento dovutole a causa dell’ingiusta cacciata del padre dalla città del Giglio.

Sergio Castellitto è Boccaccio

Il bel film, perché di questo si tratta, si muove quindi su due linee narrative: il sofferto viaggio di Boccaccio e la giovinezza del poeta. Cavalcate, scene di nudo, combattimenti, perfino un momento “irriverente”, massimo dell’umanizzazione di colui che diventerà il sommo Poeta, in cui Dante espleta i propri bisogni in riva a un fiume. Il Poeta viene ritratto sempre e comunque nella quotidianità, facendocelo finalmente sentire vicinissimo nella propria umanità.

Impeccabile l’accuratezza stilistica dove ogni inquadratura, ogni ambiente è ricercato e studiato. Ad un osservatore attento non può sfuggire l’attenzione che l’ottantatreenne Pupi Avati mette per riportare su una pellicola ambiziosa le atmosfere dei dipinti dell’epoca, degli abiti, di ognuno degli oggetti che riempiono le scene.

Anche l’ottimo cast merita di essere citato. A partire dall’ennesima credibilissima interpretazione di Sergio Castellitto, un Boccaccio che porta il peso della storia su di sé in contrapposizione con Alessandro Sperduti che ha il giusto sguardo per un giovane di grandi speranze ed il giusto naso (dovuto al trucco) ma che, a mio avviso, si lascia andare ad una recitazione forse troppo sussurrata nei rari momenti in cui il copione lo porta a declamare versi. I due sono circondati dai veterani del cinema italiano ed in particolare del cinema di Avati, nel dipanarsi della pellicola si susseguono, infatti, Enrico Lo Verso (Donato degli Albanzan), Leopoldo Mastelloni (un efficace quanto sgradevole Giovanni XXII) e Alessandro Haber che nelle vesti dell’Abate di Vallombrosa, dà vita ad una scena fondamentale in cui l’uomo di fede e Boccaccio, nel parlare di “La Commedia”, discutono sul ruolo della Santa Chiesa, che il sommo poeta ha osato definire “cloaca”. Altri ruoli importanti sono quelli portati in scena da Carlotta Gamba (messasi recentemente in luce nel film “America Latina” dei fratelli D’Innocenzo) che interpreta Beatrice e di Milena Vukotic che veste i panni di una rigattiera. Non poteva mancare Gianni Cavina, a cui, ripeto, il bel film è stato dedicato, nella ultima interpretazione di una vita interamente dedicata, tra teatro e cinema, al mestiere di attore.

Un film interessantissimo, dunque, da non perdere in questi giorni in programmazione sia al The Space che alla Gran Guardia.

Il trailer

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