
Pubblicato ore 12:00
Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo“, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.
Egregio Cacini,
dalla lettura del suo romanzo apprendo che lei non è di Livorno. Eppure, in un passaggio, dice testualmente: “Ardenza Mare è casa, e lo sarà sempre. E se un giorno il quartiere decidesse di trasferirsi altrove, io me ne andrei via con lui”.
Ecco, ci terrei a sapere quali sono gli elementi che a suo giudizio rendono la nostra città tanto attraente per chi viene da fuori?
La ringrazio per la risposta che sono certo vorrà darmi.
Filippo, Coteto.
Gentile Filippo,
lei pone una questione che mi sta particolarmente a cuore.
Io credo che il fascino irresistibile di questa città risieda nella luce. Chiunque ha sperimentato quanto una diversa disposizione o qualità della luce incidano nella percezione di un ambiente. Lo rendano caldo e accogliente o freddo e respingente. Eppure l’ambiente è sempre quello.
A prescindere da tutto, Livorno ha dalla sua la luce. E badi bene, non mi riferisco ai tramonti sul mare. Troppo facile.
Lei guardi da dovunque, proprio all’ora del tramonto, le facciate dei palazzi o certi dettagli che la circondano. Si soffermi sulla luce. Roba da fare invidia ai vedutisti olandesi. Dia retta, Filippo. Chi coglie quel che c’è di magico, ne gode. Chi non lo coglie, peggio per lui.
Ora, è vero che un forestiero ha il vantaggio di uno sguardo ‘vergine’, più ricettivo rispetto a chi vive da sempre in un posto. Ma mi creda, la luce di Livorno non può dare assuefazione. Sono macchie di luce che si rincorrono e si intrecciano. Apparentemente incoerenti, si fondono in un tutto armonico e sostanzioso.
Sì, questa è una definizione della luce dei Macchiaioli. Non le sembra, caro Filippo, che sia buona anche per descrivere in generale la nostra città? Ci pensi.
Alla fine, dicevo, quello che conta è la percezione della luce, l’effetto che ha su ciascuno di noi. Che le devo dire, in questo punto-luce che è Livorno, io mi sento a mio agio, è casa.
A dirla tutta, io qui ci farei proprio un bel “Museo della Luce“, perché bisogna avere cura di quello che è impalpabile e evanescente. E già che ci siamo, anche un “Museo delle Voci“: quelle del mercato di Piazza Cavallotti. Non sarebbe una bella cosa?
La saluto, Filippo, e la ringrazio. Ma non mi dia dell’egregio, che viene da ex-grege. Lei così dice che mi distinguo dal gregge, ma mi dà pur sempre della pecora.
Mi stia bene,
Soldo di Cacio
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