
Pubblicato ore 07:00
- di Glauco Fallani
Legati come siamo al nostro grande passato classico mi sento di poter affermare che nei riguardi delle novità provenienti dall’estero qua in Italia siamo sempre stati diffidenti. Porto qua in esempio tre importanti periodi storici legati alla più concreta e tangibile tra le Arti: l’architettura.

Prendiamo due movimenti di svolta, anche tecnologica, epocali: il gotico e le grandi architetture in ghisa e vetro. Non c’è dubbio che in Italia ci siano state per entrambi enormi resistenze. Portato e diffuso dai frati cistercensi il primo ha costellato il Belpaese con decine e decine di capolavori, ma tutti ben lontani e diversi dalle linee del puro gotico che viaggiando per la Francia o il resto del nord Europa c’è dato modo di vedere.
Abbiamo sì anche noi sostituito lo stile romanico con quello gotico, ma qua, tranne che per qualche raro esempio nel settentrione, lo abbiamo fatto con modalità ben diverse. Così, andando in giro per Orvieto, Firenze, Assisi e cento altri italici bei luoghi non ci imbatteremo mai in un gotico che sia puro come quello della cattedrale di Chartre, ma ci troveremo di fronte a meno avveniristiche forme di architettura dove le altezze vertiginose e le immense vetrate delle Chiese francesi vengono mediate dal fardello del nostro gusto classico divenendo un qualcosa di diverso, un fenomeno tutto italiano: il gotico temperato.
Un po’ di slancio verticale, gli archi a tutto sesto su pilastri a fascio ed anche le vetrate nella zona absidale ci sono, ma i nostri architetti non rinunciarono mai alla solidità delle pareti in muratura. E’ stato un male? Beh, del tutto non direi visto che su quelle stesse grandi pareti nude hanno avuto modo di collocare i propri affreschi Artisti del calibro di Ambrogio Lorenzetti, Giotto, Ghirlandaio e molti altri.
In Francia? In Germania? Probabilmente non avrebbero avuto modo di esprimere i propri capolavori, visto che nelle loro Chiese risultano ben scarse le superfici murarie da usare come supporto.

Il secondo periodo di svolta che vado a prendere in esame è quello della seconda metà dell’800: a Parigi Eiffel ha costruito la sua “Torre”, a Londra Paxton poté fare il “Crystal Palace” mentre a Milano il buon Mengoni si trovò a fare i conti con l’atavica resistenza a tutto ciò che è fortemente innovativo. Nella sua “Galleria Vittorio Emanuele II” a Milano, l’architetto progettò quel che a mio avviso si può definire una splendida via di mezzo. Nella Galleria, infatti, la parte inferiore è costruita con mezzi tradizionali in uno stile eclettico che mette insieme i molti segni degli stili del passato e nella sola parte della copertura si nota un trionfo di ghisa e di vetro. Paradossalmente proprio per questa parte, le critiche furono talmente feroci che quando a pochi giorni dall’inaugurazione il povero Mengoni, ufficialmente per un incidente, venne giù da una delle parti più alte della cupola, non furono pochi quelli che pensarono che l’architetto avesse deciso di por fine alla propria esistenza.
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