La livornese Chiara Cunzolo tra le vincitrici del Premio Musa per fotografe 2021

Ha presentato un progetto sulla sindrome di Down

Chiara Cunzolo e alcuni degli scatti che hanno vinto il Premio
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Pubblicato ore 07:00

  • di Valeria Cappelletti

LIVORNO – C’è tutto un mondo dietro a una immagine, ci sono mille sfaccettature, mille storie. I dieci ritratti di Chiara Cunzolo ne sono la testimonianza. Il suo lavoro sulla sindrome di Down le ha dato la grande soddisfazione di arrivare prima nel settore “Ritratto, moda, ritratto ambientato, fotografia di spettacolo” al Premio Musa per fotografe 2021. Il Premio, giunto alla terza edizione, è tra i più prestigiosi d’Italia ed è dedicato alla produzione di portfolio e lavori progettuali eseguiti da fotografe italiane, professioniste e non. Il suo lavoro intitolato “Free Down Sindrome” è stato anche tra i vincitori dell’Italy Photo Award.

Chiara Cunzolo

Chiara, 35 anni, livornese, laureata in cinema e produzione multimediale, fondatrice di Spazio Co-working e da sempre impegnata nel settore della fotografia, ha presentato un portfolio con dieci scatti che ritraggono bambini, ragazzi e adulti con Sindrome di Down.

Un’idea nata in seguito alla scoperta di una notizia che ha molto colpito la giovane fotografa e che viene ben spiegata nel sito internet del Premio: “È stato stimato che il 65% dei bambini in Norvegia, ai quali prima della nascita era stata diagnosticata la sindrome di Down, sono stati abortiti. Le cifre sono ancor più gravi in altri Paesi. Per esempio gli abortiti in Gran Bretagna sono stati il 90%, il 95% in Spagna e quasi il 100% in Islanda. In Danimarca le nascite con la Sindrome sono diminuite in media del 13% all’anno dal 2004-2010. Si stima che la Danimarca entro il 2030 potrebbe diventare “il primo Paese al mondo ‘Down Sindrome free’. Libero dalla sindrome di Down”.

Ecco che cosa ci ha detto su questa esperienza.

Intanto complimenti per questo bel risultato

Grazie. Sono molto contenta, non me lo aspettavo, è un premio molto conosciuto e poi Sara Munari (presente in giuria insieme ad Antonella Minzoni, Grazia Dell’Oro e Chiara Ruberti, n.d.r.) è una fotografa che seguo da tanti anni. Inoltre è rivolto alle donne, argomento a me molto caro perché  tra i temi dei miei lavori.

Come è nata la scelta di fotografare persone con sindrome di Down?

Io iniziato a fare foto all’interno della Compagnia Mayor Von Frinzius (composta per lo più da ragazzi con disabilità e con sindrome di Down, n. d. r.) e sono amica di molte persone Down, un giorno ho letto questi articoli sulla situazione in Danimarca e mi sono messa a riflettere. Ho lavorato molto a scuola in progetti di teatro e all’inizio capitava che su dieci classi, almeno cinque avessero un alunno con la sindrome, mentre negli ultimi anni ho notato che sono sempre meno, si lavora molto di più sull’autismo. Mentre prima veniva comunicato ai genitori che il bambino aveva la sindrome di Down una volta nato, adesso esistono esami che permettono di conoscere eventuali condizioni anche a livello genetico a tre mesi dalla formazione del feto e questo porta alla decisione di abortire. Con questo lavoro vorrei solo portare le persone a riflettere sul fatto che, secondo quegli studi, la sindrome di Down è destinata a scomparire. La mia non vuole essere una critica e sono molto contenta del fatto che non sia stata letta come tale dalla giuria del premio.

Chi sono i protagonisti delle tue foto?

Sono dieci ritratti che vanno dai bambini di 4 anni a persone di 50 anni, alcuni sono amici che conosco da tempo, altre sono persone che mi sono state indicate da amici. Per ora è un lavoro in divenire, spero di farne anche altri. Tanti lavori sulla sindrome di Down vengono fatti sulla storia personale, sul ragazzo che va a lavorare, invece io sono rimasta molto colpita da quello che sta accadendo e dal fatto che comunque tutto ciò avrà delle conseguenze. Dall’età di 18 anni lavoro con la disabilità e la reputo una ricchezza personale, sono dell’idea che la vicinanza fa sempre conoscere e la conoscenza porta all’accettazione dell’altro.

Valeria

Perché la scelta di usare il bianco e nero?

Questo progetto era nato all’inizio come videoinstallazione, video-ritratti su sfondo nero. Mi piace molto fare foto in bianco e nero perché porta all’essenza delle cose ed esalta i lineamenti, puntando all’essenziale. Ho quindi voluto continuare su questa linea ma su sfondo bianco perché ancora di più risalta l’immagine.

Cos’è per te la fotografia?

Ormai sono io, è un modo di guardare qualsiasi storia, la uso per conoscere le persone. Punto molto sul ritratto e tengo molto al rapporto che si crea con la persona ritratta. Mi piace indagare la persona con le sue sfaccettature.

Andrea

Progetti futuri?

Spero di continuare a raccontare storie che riguardano la maternità, la donna e il disagio mentale.

Tu hai una bambina, che rapporto ha con la fotografia?

È incuriosita. Lei è il soggetto di tante mie foto.

Dove vedremo le foto vincitrici?

Alla Biennale di Fotografia di Mantova e al Festival della fotografia di Colorno.

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