Paride Bianco in mostra a Villa Mimbelli: “Il mio lavoro di ricerca durato 50 anni sulla materia grezza”

Un caleidoscopio di figure astratte e di colori vivaci

Paride Bianco ieri, davanti a una delle sue opere
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  • di Gianluca Donati

LIVORNO – È come attraversare un caleidoscopio di figure astratte e di colori vivaci, un universo visionario nel quale però, a un’osservazione più attenta, è sempre intravedibile la realtà. “Archetipi. Un viaggio nelle possibilità espressive del calco”, è la mostra del pittore Paride Bianco, nato a Venezia divenuto livornese.

Trentatré dipinti esposti al “Museo Fattori”, negli spazi dei Granai di Villa Mimbelli (S. Jacopo in Acquaviva, 65), e che ricostruiscono un percorso che va dal 1985 fino ad oggi. L’esposizione è curata da Giuliana Donzello con la collaborazione del “Settore attività Culturali”: Musei e Fondazioni, Ufficio Musei e Cultura diretto e coordinato da Laura Dinelli e Daniela Mannella. Paride è considerato da molti l’erede del pittore e scultore futurista “Umberto Boccioni”, e da altri, il nuovo Vasilij Vasil’evič Kandinskij. Noi di Livornosera lo abbiamo intervistato per saperne di più della sua arte.

Ci può parlare di questa sua mostra?

La mia mostra è il compendio di cinquant’anni di lavoro su una ricerca fatta sulla materia, la materia “grezza”, sulla quale lavorare e che t’impone delle domande che tu come artista devi risolvere, e quando hai sciolto questo rapporto, ne nasce un’opera d’arte. Tutte le opere sono dei calchi messi su una base di gesso, o ripresi con una matita, con delle dimensioni giuste in modo tale da poter recuperare quel colloquio che c’è tra te e la materia; gesso e colla, con diversi spessori, con le quali si ottengono figure, delle astrazioni, che mi servono per capire se in una qualche maniera un’opera può essere astratta al punto tale da non inserirvi “cose proprie”; perché bene o male qualsiasi cosa noi facciamo, coinvolge tutta la nostra esperienza, dentro c’è sempre un riferimento al nostro vissuto: un nudo, una parte anatomica, un paesaggio, la linea del tramonto. Per un artista astratto, il figurativo non è qualcosa da scartare; è un punto di riferimento da tenere presente, lo si mette da parte come una poesia da imparare a memoria e lo si usa come spunto per l’astratto.

Come potremmo definire il suo stile?

Io lo chiamo “stativo”, dove cioè il segno incontra un ostacolo durante il movimento, quando la matita trova “il salto”, e in quel punto la matita “marca di più”, e lascia un tratto diverso; un po’ quello che facevano gli archeologi che trovavano degli scritti antichi e per decifrarli grossomodo, ponevano un foglio di carta e lo passavano con una matita o con un gesso; è un modo artigianale, un traslato e nel caso della pittura diventa uno strumento per esprimerti.

Quanto ci mette per realizzare un quadro?

Il tempo dal progettare a realizzare il quadro è lungo. La carta o la tela, va preparata in modo che il colore non si espanda, non abbia sbavature. I colori che uso, li faccio io con le terre, e la tela va preparata con una specie di colla in modo che durante la stesura – sia essa dell’olio o della tempera – questa abbia un’imprimitura.

La mostra sarà visitabile fino al 1° marzo, con orario: venerdì 28 – dalle ore 16.00 alle ore 19.00, il sabato e la domenica, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16 alle 19.
Ingresso libero.

 

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