
Pubblicato ore 14:00
- di Serafino Fasulo
Scandicci alle ore 15.00 è infuocata. L’estate è esplosa con i suoi 32 gradi di furore. Palazzi anni ’70 di quella che è la lunga mano della periferia fiorentina non generano un filo d’ombra.
Marco Orsucci mi viene incontro dal cortile di uno di questi, ha attraversato la città in scooter per incontrarmi e mi conduce in un fondo a livello della strada. “Qui ci sono i miei fallimenti, ovvero i lavori che non ho venduto”, il tono è ironico e divertito.

In Marco, nato nel 1944, mi sembra evidente l’eredità di una generazione che ha rappresentato cambiamenti profondi attraverso la contestazione esplosa nel ’68 e che, in taluni casi, ha sviluppato una saggezza dal sapore orientale.
Nell’atelier regna una splendida confusione, alle sculture si mescolano gli attrezzi di lavoro e la polvere. Cerco delle inquadrature pulite ma è impossibile, dai margini irrompono braccia, gambe dettagli che mi invitano a raccontare lo spazio nel suo caotico equilibrio. L’equilibrio è uno dei temi portanti del lavoro scultoreo ed esistenziale di Marco, non solo le figure, spesso acrobatiche, sono immortalate in questa condizione liminare dell’esistenza ma mi sembra di percepire che anche la sua vita sia stata improntata alla ricerca di questo delicato stato tra il dramma e la farsa attraverso il quale si muove l’umanità.

“Avrei bisogno di un assistente che mettesse ordine ma sono sicuro che finirebbe per far suo lo spazio e allora sarei io ad andarmene”. Troppo breve la vita per interpretarla come conflitto e se Livorno non risponde alle proprie esigenze ci si sposta a Firenze, città che il mare lo vede dopo novanta chilometri di Superstrada ma che la scultura la respira da secoli.
Ad un monaco cinese una donna consegna un bambino dicendogli che si tratta di suo figlio. Il monaco senza battere ciglio accetta il presunto figlio e lo cresce con amore fino a quando la donna, in preda ai rimorsi, non si ripresenta pretendendo di riprenderlo. Il monaco senza scomporsi lo consegna all’amore materno. In questo apologo, raccontatomi da un’amica, mi sembra riscontare l’Equilibrio di cui parlano le sculture e la vita di Marco Orsucci, non si tratta di passività ma di una filosofia del vivere alla ricerca dell’armonia, desiderosa di smussare le asperità come la sua lima che accarezza la materia. Su una mensola “conversano” Pulcinella e Arlecchino, figure che rimandano al teatro, spazio nel quale lo scultore Orsucci si è espresso come scenografo, popolando con le proprie creazioni i palcoscenici di Houston, Tokio, Madrid, Parigi, Milano, Venezia, Firenze. Arlecchino ascolta interessato Pulcinella che mi sembra dica “Calma, chi ce ‘o fa fa’’”.

Marco Orsucci nasce a Livorno nel 1944, vive e lavora a Firenze. Diplomatosi in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Firenze, alla scuola di Oscar Gallo, ha insegnato scultura al Liceo Artistico di Firenze. Ha preso parte alle maggiori rassegne d’arte italiana, ottenendo riconoscimenti importanti.
Le foto sono di Serafino Fasulo
Serafino Fasulo è produttore, regista di documentari e fotografo. Ha lavorato per la RAI, per Sky e per altre produzioni televisive e cinematografiche. Ha curato numerose rassegne video e cinematografiche, eventi teatrali, mostre di pittura e fotografia.
È stato responsabile della programmazione audiovisiva del Nuovo Teatro delle Commedie e del Teatro Mascagni di Livorno dal 1995 al 2003. Dal 2003 al 2013 è stato gestore e coodirettore artistico del cinema Kino-Dessé e dell’Arena Ardenza di Livorno. Nel 2014-2016 è stato assessore alla cultura del Comune di Livorno.
È stato Presidente Nazionale dell’Unione Italiana Circoli del Cinema (UICC). Dal 2016 al 2020 è stato Art Director della Fondazione Laviosa. Attualmente sta sviluppando progetti fotografici a lungo termine con particolare attenzione ai flussi migratori.
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