
Pubblicato ore 12:00
Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.
Gentile Cacio,
io non sono di Livorno, ma leggendola mi sono fatto persuaso che non importa esserci nati per sentirsi livornesi, però deve capire che mi chiamo Puccio e sono nato – ma ora non m’infami – in provincia di Pisa, per la precisione a Lajatico, borgo famoso per aver dato i natali al tenore Bocelli, dove fra nome di battesimo inusuale e forse anche per le mie movenze poco virili, sono sempre stato non dico deriso ma insomma neppure incentivato a sviluppare un’autostima folle.

Pensi quindi alla mia felicità quando giunto a Livorno ho trovato una scritta come ‘Puccio sterza‘ (Sterza è una frazione di Lajatico, non so se lo sapeva): pensavo di essere diventato un eroe nazionale! Ma bando alle ciance e ai miei tardivi coming out, che di sicuro la interessano meno di zero, partendo proprio dal mio villaggio, che non è più tanto villaggio, essendo ormai gentrificato, e sede di iniziative fighette quali concorsi fotografici, io le volevo appunto chiedere: che ne pensa di queste iniziative? Vivificano un territorio o lo riducono a una still life molto poco life ma parecchio still? E lei, Cacio, lo farà il vaccino? Che ne pensa dell’indignazione per il bravo (e bello) giornalista Scanzi che ha osato vaccinarsi? Io lo preferisco a diversi sepolcri imbiancati, e lei? Insomma, Cacio, me ne approfitto e le chiedo un po’ di cose in ordine sparso, l’ultima delle quali è se ci sarà un seguito alla sua storia delicata di perdente che alla fine è più vincente di tanti.
Si prenda cura di sé, Cacio.
Puccio, Lajatico
Puccio caro,
la sua lettera m’è garbata parecchio, perché denota quel senso di leggerezza nei confronti di se stessi, quell’autoironia che sono segno inequivocabile di intelligenza. Quanta pesantezza c’è nel prendersi troppo sul serio!
Ha dunque ragione a sentirsi addosso i pieni requisiti di cittadinanza labronica. Qui infatti se non sei capace di ridere di te stesso, non ci campi, essendo i livornesi i maestri più raffinati nella nobile arte del prendere per i fondelli. Una maestria che si articola in mille modi e su più livelli, e da cui non c’è verso di sottrarsi.
Non si dolga della provenienza pisana, Puccio: io amo quella città, sarà per i trascorsi universitari che hanno significato tanto in termini di formazione, di legami e pure di qualche storiella con ragazze con cui ci vedevamo ai corsi o, più spesso, al cinema Arsenale. All’epoca per imbastire anche un seppur fugace intrallazzo dovevi dimostrare di aver visto tutto Bergman. Altri tempi.
Leopardi apprezzava, anzi amava Pisa. E dobbiamo al suo soggiorno pisano la stesura di “A Silvia“. Basta e avanza per sottrarre questa città al vituperio.
Il campanilismo toscano, caro Puccio, mi fa parecchio ridere, ma fondamentalmente non ci credo e penso che tutto il mondo sia paese.
E a proposito di paese, come vede i natii borghi, sia pure selvaggi, sono capaci di regalarci menti eccelse. E forse pure valide iniziative fotografiche. Io fossi in lei andrei sempre a dare una sbirciatina, quando si potrà. Meglio dare fiducia che essere diffidenti. C’è poco da rimetterci.
“Puccio sterza”, la scritta che si staglia al curvone dello svincolo ai piedi del Romito, è un monumento nazionale. Dovrebbe essere meta di turisti, patrimonio Unesco e il Fondo per l’Ambiente dovrebbe occuparsi del suo periodico restauro, insomma tutte quelle cose lì. Perché c’è tutto, in quella scritta: la derisione (immagino che il tipo in questione ci abbia rimesso più di una fiancata) e la critica (alla viabilità, all’urbanistica tutta). È una scritta che è una risata grassa, che ha il gusto dello sberleffo in puro stile toscano. Boccaccio ci avrebbe costruito sopra una novella di sicuro.
Un amico mi ha raccontato, ma non so quanto sia attendibile, che hanno fatto un videogioco in cui il guidatore di un’automobile è alle prese con la simulazione di quella curva lì, perfettamente ricostruita al computer. Non so se è vero, ma lei, Puccio, si meraviglierebbe?
C’è una scritta secondo me altrettanto geniale, e che mi fa ridere soprattutto per la sua inutilità comunicativa, che appunto la rende grandiosa. Un motto di spirito feroce quanto assolutamente gratuito. Si trova dietro gli scali Manzoni. È su un muro, realizzata in bella grafia e su tre righe:
TOC TOC!
CHI È?
IL B*** DI TU MA’
La saluto, caro Puccio, non prima di averla ringraziata per le parole gentili sulla storia che mi riguarda.
Stia in gamba,
Cacio
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