
Pubblicato ore 12:00
Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.
Caro Cacio,
ho letto il tuo romanzo tempo fa. Mi ha molto interessato la tua storia e l’ambientazione livornese, che ha qualcosa di fiabesco e qualcosa di felliniano.
Qui tutti ti scrivono che sei un uomo buono, tenero, delicato eccetera eccetera. A me hai dato l’idea di un tipo parecchio malinconico. Dico bene?
Ti saluto,
Marino (Collesalvetti)
Caro Marino,
dici bene eccome. A me oltretutto la malinconia non dispiace affatto, lo trovo un sentimento molto interessante. Da coltivare, in certi momenti, e da cui lasciarsi cullare. La malinconia, ha detto recentemente Bobo Rondelli in un’intervista, è un lusso. E io sono d’accordo con lui.
E a proposito di Bobo Rondelli, volevo dirti che il suo ultimo pezzo, “Sabrina”, mi piace proprio tanto. Se hai modo, Marino, porgi l’orecchio e dai anche un’occhiata, perché il video – realizzato dai ragazzi di “8mmezzo”, che scovano e rimettono in sesto materiale girato in Super8, il formato dei vecchi filmini – è molto bello e si lega perfettamente al tono nostalgico della canzone.
Io credo che tutti si siano imbattuti in una Sabrina. Quando conobbi la ‘mia’, mi parve magrolina e minuta, molto più di quanto lo fosse veramente. Si rannicchiava per la timidezza e poi, a poco a poco, la sua figura acquistava consistenza.
Portava maglioni colorati, con le maniche troppo lunghe, da cui sbucavano i polpastrelli. Per salutarmi, si toglieva istintivamente il cappellino di lana. Aveva gesti gentili e un po’ goffi. Sabrina toglieva il cappellino e subito i capelli le piovevano sugli occhi. Erano occhi vivaci, luminosi, e la raccontavano molto bene. Sorrideva di un sorriso contagioso. Il sorriso non riguardava solo le labbra o il viso, Sabrina sorrideva con tutta la persona. Sorrideva nel salutare qualcuno e nelle azioni più banali: mentre camminava, mentre qualcuno le parlava, mentre saltava sul motorino per tornare a casa. Sorrideva sempre quando parlava di sé, anche se all’inizio parevano cose tristi.
Era un sorriso semplice, di quelli che tradiscono un briciolo di rassegnazione, forse. Come se più di tanto non fosse lecito chiedere. Infatti Sabrina faceva con quel che c’era, e lo faceva bene. Soprattutto a modo suo, con il suo sguardo sulle cose.
Divorava la vita, la masticava a volte a bocconi troppo grandi, allora il viso le si deformava in espressioni curiose, e ci rideva di gusto.
Era capace di slanci e di confidenze buttate lì un po’ maldestre. Non aveva filtri, non era prigioniera delle solite trappole. Era libera anche nelle malinconie e nelle angosce. Quella sua esuberanza a volte presupponeva, anzi imponeva un’intimità cui non potevi resistere. Perché quando gli girava, si buttava a capofitto sulle persone.
Poi di colpo ristabiliva le distanze. Aveva deciso così. Si incupiva e lo sentivi subito che eri altro da lei. Il suo essere un animaletto solitario riemergeva dai fondali.
Passare un po’ di tempo con lei era come affacciarsi per un attimo, un attimo solo, su un mondo a cui non solo non avevo accesso, ma che nemmeno mi ero sognato potesse esistere.
La ‘mia’ Sabrina si chiamava Beatrice. Viveva a Lucca e le piaceva dipingere. In uno dei suoi ultimi messaggi mi scrisse che voleva venire a trovarmi a Livorno. Ma non abbiamo fatto a tempo.
Non so cosa sia successo. Ci eravamo persi di vista. Forse un boccone troppo grande, che non è riuscita ad inghiottire. Forse l’animaletto solitario le ha dato un graffio troppo profondo.
Ogni tanto penso a lei, e mi sale la malinconia. Penso ai suoi sorrisi e vorrei che non andassero perduti. Me li immagino ancora sparpagliati qua e là nel centro storico di Lucca, come quegli adesivi che trovi appiccicati al casello dell’autostrada, sui segnali stradali o sui tubi innocenti di un’impalcatura.
Così, ho nostalgia di tutte le Sabrine che sono scivolate via col tempo, che non ci sono più o sono diventate altro o non ci sono mai state.
Un abbraccio,
Cacio
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