Un soldo di Cacio: “Canto notturno di un camionista errante d’Italia”

A scrivere è il personaggio del romanzo di Michele Cecchini

Dettaglio della copertina del romanzo di Michele Cecchini "Il cielo per ultimo" realizzata da Manuele Fior
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Pubblicato ore 12:00

Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.

Prima di proporre la lettera di questa settimana e la relativa risposta, vorrei rassicurare Fiorenzo, Puccio, Maurizio, Laura e tutti gli altri. Le vostre missive sono arrivate a destinazione, sono state piacevolmente accolte e sono gelosamente custodite. Piano piano rispondo a tutti. Alle brutte chiederò alla paziente Valeria Cappelletti di fare dei numeri speciali della rubrichetta, così da rimanere al passo. Il fatto che siate tanti a scrivere è una bellissima cosa. Innanzitutto perché se ne deduce che forse forse arrivo anch’io ai venticinque lettori manzoniani; e poi perché significa che c’è voglia di discutere, amabilmente, degli argomenti più disparati, circa i quali rivendico la prerogativa di non venirne a capo né di levarci le mie gambette.

A questo giro ho dato la precedenza a Rodolfo perché fa riferimento alla congiuntura pasquale, per cui la sua lettera era soggetta più della altre all’invecchiamento.

Cacio.

Cacio ciao,

mi sa che di solito ti scrive gente che ci capisce più di me. Io mi chiamo Rudy, Rodolfo a dire la verità come il nonno, e faccio un mestiere che con la poesia ci azzecca proprio poco, il camionista e se ti dico cosa trasporto allora sì che mi dici che con la poesia non ci azzecco: porto quasi sempre suini, pensa te.

Passo spesso per lavoro dalle tue parti. I primi tempi mi scervellavo a cercare dove poteva essere il negozio di ferramenta, quando leggevo Le Pinze e Le Forbici, poi ho capito che erano nomi di posti.

Ti scrivo perché ho letto la tua storia in una notte, durante una sosta a un autogrill vicino Gravellona Toce.

Io sono devoto di Padre Pio e me lo sono anche tatuato, perché col mio mestiere meglio una protezione in più che in meno. Tu sei religioso? Sei devoto alla Madonna di Montenero, le porti fiori, le accendi ceri?

Io ci penso alla religione, quando faccio chilometri e chilometri, e ora in settimana santa anche di più, poi a volte mi vengono domande anche sulla colomba pasquale. Mi diceva tempo fa un’amica veneta che a lei fa senso mangiare la colomba, che Colombina è proprio il simbolo delle donne venete, hai visto aizzasse i femminicidi, Dio non voglia. A Pasqua lo mangerai l’agnello? Come la vedi la cosa che ora son tutti vegani? Io non ci trovo nulla di male a mangiare gli agnelli che poi mi fanno pensare a quel cantante lì che guadagna parecchio beato lui, ma lasciamo perdere.

Ecco mi piaceva sapere se a volte guardi il cielo e ti senti piccino, io non c’è notte che non ci penso ma se ne parlo ai colleghi non ti dico che mi rispondono a rutti ma quasi.
Cacio continua così che se ricapita io ti leggo volentieri.

Rudy, Civitavecchia

Caro Rudy,

la tua lettera mi ha commosso e dico sul serio. Di notte, fermo in un’area di sosta di un autogrill, hai avuto cuore di leggerti per intero la mia storia. Questa è poesia, almeno per le mie orecchie: ricevere messaggi del genere è una soddisfazione, una gratificazione enorme per chi scrive. Almeno per me.

La tua lettera mescola riflessioni su grandi temi e incursioni nella cultura popolare. Ma permettimi di contraddirti subito: il tuo mestiere con la poesia ci azzecca e di molto. A leggere le tue righe mi è venuto in mente il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. Sarà perché su Leopardi sono in fissa fin da piccino, ma il tuo mi pare proprio un “Canto notturno di un camionista errante d’Italia”. Il pastore porta in giro le pecore, tu i suini. Lui vede “gregge, fontane, erbe”, tu probabilmente viadotti, oleandri, caselli. Ma poco cambia. Perché entrambi vi fate domande. Tu al cielo, il pastore alla luna.

E risposte non ce ne sono, Rodolfo. Io, almeno, non ne ho e mi viene da essere guardingo con chi è convinto di averne, ma bene per lui.

Credo che sia importante continuare a guardare il cielo (va bene anche se per ultimi) e stare lì a rimuginarci, come tu giustamente dici. Questo è una specie di dovere morale che siamo chiamati a osservare e che alla fine ci salva. Osservare, pensare, farsi domande. Anche a costo di perdersi, di sentirsi piccini piccini, che alla fine è una sensazione poi mica tanto male. E consapevoli che tanto non c’è verso di raggranellare un barlume di risposta, almeno non di quelle capaci di squarciare il buio e squadrare da ogni lato ciò che, gira e rigira, è destinato a rimanere informe. Per citare un altro poeta.

Ho un amico molto caro che fa il tuo stesso mestiere, Rodolfo. Si chiama Diego e anche lui mi racconta di quanto è faticoso. Ci sarà anche la retorica del viaggio, l’estetica ‘on the road’, ma presumo che dover “riandare i sempiterni calli” sia una gran rottura di coglioni. Non so se anche il mio amico ha preso qualche precauzione con i tatuaggi, però mi dice anche che tra di voi ancora è in voga lo strumento del “baracchino CB”, della chiacchierata sulla frequenza radio, insomma. Io la trovo anche questa una cosa molto poetica, nell’epoca di internet e degli algoritmi.

Se posso darti un suggerimento, fossi in te presterei comunque l’orecchio anche ai rutti dei tuoi colleghi: per quanto istintiva, è una forma espressiva che magari detiene un contenuto di verità.

Buon proseguimento di viaggio, Rudy. E fai ammodo quando passi dalle Pinze o dalle Forbici. Sappi che se prosegui ancora più a sud, trovi La California. Pensa te.

Ti mando un abbraccio e grazie davvero per le tue righe,

Cacio.

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