
Pubblicato ore 12:00
Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.
Senta Cacini, io le dico una cosa che mi pare ancora non le abbia detto nessuno: nonostante in tutto il romanzo lei si comporti castissimamente, io ci ho visto una grande tensione erotica sotterranea, in quel suo bramare i dolciumi quasi per spegnere un fuoco che le arde dentro, a partire dal desiderio represso forzatamente per quell’algida brigatista. Non so se lei abbia letto “Il delta di Venere” di Anais Nin, scrittrice dalla vita dissoluta ma molto interessante, ma io spesso mi chiedo se talvolta lo scrivere, anche lo scrivere di cose che sembrano lontanissime dal sesso, non sia una metafora del desiderio: si desidera così tanto mettere nero su bianco ciò che vogliamo dire che non si sta più nella pelle e quando abbiamo terminato ci prende una specie di magone che quasi ci fumeremmo una sigaretta per placare l’imbarazzo di tanta intimità. Per lei scrivere è desiderio, esigenza o dovere morale?
Grazie per la sua risposta.
Valentino, Nibbiaia
Valentino,
la sua lettera è bellissima, intensa e profonda. Tanto che io mi arrendo e mi dichiaro fin d’ora incapace a risponderle per bene.
A dirla tutta, ho sempre trovato stimolanti e dense di spunti di riflessione le zone di un testo in cui un autore alza le mani e si dice impossibilitato ad esprimere a parole quello che vive, sente, percepisce. A Dante capita di frequente nella Commedia, e questa reticenza secondo me è illuminante più di tanti discorsi per chiarire quanta potenza sia insita nelle passioni umane, con tutto quel che sono capaci di sprigionare.
Forse è per questo motivo che il mio autore mi ha destinato a vicende grame dal punto di vista erotico, Valentino: probabilmente è il suo modo di alzare le mani. Io lo capisco, eh, perché non dev’essere facile scrivere di queste faccende, con il rischio consistente di scivolare nel ridicolo o, peggio, nelle formule trite e ritrite. Oppure lui non le ritiene congeniali alla sua scrittura. Ci sta anche che le storie che imbastisce semplicemente non le prevedano. Non lo so, bisognerebbe chiedere a lui.
Io per me mi contento di quel poco che mi viene riservato nella esile trama che mi riguarda, ovvero dei fugaci incontri con una donna durante la sua altrettanto fugace latitanza. Si è trattato di momenti un po’ così, consumati in fretta e furia, e forse è anche per questo che mi hanno lasciato addosso sensazioni parecchio intense, come accade a tutto quello che potenzialmente poteva essere e che non si è mai rivelato davvero.
Per il resto, circa la materia che propone, Valentino, mi vengono a mente le ultime novelle di ogni giornata del Decameron, quelle riservate a Dioneo: siccome è l’unico della brigata libero di andare fuori tema, ne approfitta per parare sempre su racconti a più o meno esplicito sfondo sessuale, talvolta con azzardi clamorosi. Su tutte, mi torna a mente la novella di Alibech romita, dove si parla di “rimettere il diavolo nell’inferno”, di “resurrezione della carne” e di altre formule un pochino allusive. Se non l’ha letta, Valentino, gliela consiglio.
Circa le pubblicazioni labroniche, anni fa le Edizioni Erasmo tirarono fuori una raccolta di racconti, a cura del gruppo di scrittura labronico “Qwerty”, dal titolo “Sessoscritto”, evocativo di luoghi a noi cari. Ogni contributo aveva l’obbligo di attenersi al tema dell’erotismo e ricordo che ce ne erano di notevoli.
Ma ancora di più mi garba rintracciare il “quanto di erotia” – per citare il Gaddus – nei testi dove non la si esplicita più o meno palesemente. Le schermaglie tra Milton e Fulvia sotto al ciliegio in “Una questione privata”, ad esempio, non nascondono sottotraccia una micidiale carica erotica?
Allora si torna a bomba, ed è quello che mi pare anche lei metta in luce nella sua missiva, Valentino: può darsi che il non detto sia molto più potente di tutte le parole messe insieme. E può darsi che questo sia uno degli elementi alla base della scrittura, che riesce a dire di più proprio quando evita di esprimere a lettere di fuoco, limitandosi ad alludere, evocare, suggerire. Un po’ come quando tra due persone basta un’occhiata e non occorre altro.
Ho la sensazione, anzi la certezza di essermi incartato, Valentino. Mi limito ad aggiungere che “desiderio” è un vocabolo che anche etimologicamente presuppone una mancanza, in qualche modo da colmare. In questi termini, la scrittura con la sua portata evocativa gioca la sua parte. Poi, ci sta che quel che rimane del tutto inespresso abbia bisogno di esser provato, altrimenti chi lo intende.
Un abbraccio grande, Valentino, e mi stia bene.
Cacio
© Vietata la riproduzione
Lascia un commento