
Pubblicato ore 12:00
Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.
Buongiorno Cacio piccoletto,
le devo confidare che mi ha colpito davvero tanto il personaggio di suo figlio Pitore, circondato da tutte quelle parolette inutili e incomprensibili. Ogni tanto mi capita di ripensarci, e alla fine forse ha ragione lui più di tutti noi, a dire così.
Spero di incontrarla in giro per l’Ardenza, io vivo a due passi, in Fabbricotti, anche se lei chiama la villa in un altro modo.
Le faccio i complimenti e la ringrazio se vorrà rispondermi.
Ester
Bentrovata a lei, Ester.
Il suo nome mi fa pensare alla giovinetta montaliana che spicca il volo dallo scoglio e si tuffa fiduciosa tra le braccia del mare amico che la afferra.
Io confido ancora in una bell’ottobre soleggiato, che mi conceda qualche bagno a Calignaia o al moletto o dove capita, però senza grandi tuffi, piuttosto immergendomi pian pianino dopo aver trascinato dondoloni le mie membra nodose tra gli scogli.
Il poeta vedeva la sua Esterina avvolta in una grigiorosea nube, che trovo metafora perfetta per descrivere lo stato d’animo mutevole prerogativa dei tempi nostri, che per la verità mi paiono decisamente grigi, e il roseo va trovato col lanternino o bisogna mettercelo da soli.
Grazie anche per le parole sulle paroline di Pitore. Recentemente m’è capitato di leggere un testo di Antonio Rezza, “L’uomo che balbetta”, in cui si sostiene che il balbettio detiene una sorta di nostalgia preventiva, perché è come se si volesse trattenere la prima sillaba, per il rimpianto di lasciarla andare. E la prima sillaba, proprio per questo, rivela un significato, dunque un contenuto di verità.
Pitore balbetterebbe il suo nome cominciando con: “Pi.. Pi…”, che un po’ lo racconta, istintivo e pronto al candore delle manifestazioni scoperte di sé. Per non parlare del sottoscritto. L’ “Em… Em…” prima di Emilio tradirebbe tutta la mia titubanza di fronte alle cose del mondo. Per non parlare del cognome: “Ca… Ca… Cacini”, e lei sa bene quanto questo elemento sia essenziale ai fini della narrazione che mi riguarda, Ester. Potrei parlarle della autoreferenzialità del mio autore “Mi… Mi… Michele”, oppure del mio migliore amico “Cu… Cu… Cuper”, che infatti ogni tanto fa capolino, quando meno me lo aspetto.
Invece voglio accennarle, in queste ultime righe che mi separano da un “po’… po’… ponce”, di un personaggio nostro concittadino assai poliedrico e di molto in gamba. Siccome fa un sacco di cose, l’esitazione che lo precede sarebbe: “Mo… Mo…” potrebbe valere per i modi (di esprimersi, che sono tanti) oppure nel senso di ora (dacché è parecchio attivo su tanti fronti, come le dicevo). Di cognome fa Monteleone e di nome Claudio. Io l’ho visto diverse volte a teatro, nelle performance delle Stanze Livornesi a Effetto Venezia e in qualche altra circostanza. Ora, io non mi addentro nel descriverle il livello di bravura, visto che non mi intendo di queste cose, quindi figuriamoci. Però a me m’è sempre garbato un monte, giustappunto. Sarà perché ho il piacere di conoscerlo, fors’anche di essergli amico, e quindi son di parte. Claudio, oltre a essere una risorsa importante per la nostra città, è una gran bella persona. Direi che il profilo basso è una delle sue qualità umane più alte.
Claudio tiene corsi, armeggia con un sacco di strumenti espressivi, si esibisce, insomma si dà un gran daffare sempre con il suo tono pacato ed elegante. Nei giorni scorsi ho scoperto che all’ex banco dell’Orologiaio al Mercato Centrale ha messo in piedi addirittura una mostra di illustrazioni (qui l’articolo alla mostra). Chi l’ha vista mi ha parlato di magia, di poesia, di leggerezza. C’è tempo ancora un paio di settimane per andare a dare un’occhiata. Io una delle prossime mattine piglio Pitore e ci vado, Ester. Magari è un toccasana per noialtri squinternati che ci balbetta anche l’anima.
Mi stia bene,
Cacio
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