
Pubblicato ore 12:00
Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.
Carissimo, necessario Prof. Cacini,
nella sua rubrichetta si parla molto spesso di letteratura, ma poco di musica. Devo ritenere che non ne è appassionato? Mi stupirebbe, dal momento che la musica è nutrimento imprescindibile per le belle anime, cosa ben diversa dalle anime belle, e io sarei proprio curioso di sapere se i suoi gusti si orientino verso questi giovani che fanno delirare le platee di tutto il mondo, dallo scandinavo nome Maneskin, seppure assai dell’Urbe eterna, con quel cantante che fa impazzire le donne e mica solo le ragazzine, non si creda, anche quelle mature, a dispetto dei reggicalze di cui fa gran mostra, o magari per un nostrano seppur mesto Masini, o predilige una musica più di fino, perché no anche dodecafonica? Io mi diletto assai nell’ascolto di tutti i dodecafonici ma vado folle per René Leibowitz, e questo mi aliena le simpatie di tutta la famiglia, perché negarlo? Qual è l’abitudine che la rende inviso anche agli amici più cari? E cosa ne pensa dell’idea di finanziare i matrimoni religiosi? Scusi l’assenza di panegirico, ma che boiata è?! Lei che mi dice?
Sa che mi ha colpito tanto una sua risposta, non ricordo a chi perché le scrivono talmente in tanti che è difficile ricordarsene, in cui parlava del professor Giannini, io vorrei proprio entrare nella sua compagnia, mi raccomandi lei, se ne ha facoltà, siamo o non siamo italiani inclini alla raccomandazione? La saluto con tanto affetto, se lo merita tutto.
Filippo Casoni, Guardistallo
Gentile Filippo,
nella stesura della odierna mia rubrichetta il pensiero va all’amico mio Marchino, ché in questi giorni cade una delicata ricorrenza e insomma io lo penso più forte che mai.
Marchino è un seguace della rubrichetta e puntualmente ogni venerdì pomeriggio aspetto il suo messaggio dove mi dice la sua sulle quattro bischerate che ho scritto.
Marchino è un appassionato di musica. Ha beccato al volo la poco-cripto-citazione che è la copertina del romanzo non che mi riguarda, ma quello arrivato dopo.
Pure io ascolto la musica, Filippo, e mi sono dotato perfino di quei marchingegni contemporanei buoni a riprodurla – sebbene tra una pubblicità e l’altra – e mi chiedo di che campino i musicisti. Che poi me lo chiedevo anche quando in tempi remoti si duplicavano le canzoni sopra ai nastri delle cassette, corredate poi dalla lista dei brani sul cartoncino in una grafia ganza, ai fini di abbindolare qualche compagna di classe.
Ma tengo fede al mio istinto, caro Filippo, e se le parlo di musica chiedo aiuto ancora alla letteratura. Deve sapere che ho la fortuna di avere come amico pure un altro Marco, cioè Marco Barsacchi. Siamo colleghi a scuola, e oltre che docente (di Lettere), è un musicista e un musicologo. Per farla breve, uno di quegli individui che nel linguaggio contemporaneo non abbiamo esitazioni a definire: “fine intellettuale”. Così, com’è come non è, Marco Barsacchi l’altra mattina pei corridoi mi ha generosamente dispensato la sua su Dante e la musica. Così, Filippo, chiudo il cerchio con il numero precedente di codesta rubrichetta.
Sostiene Barsacchi che si possa individuare una struttura, tracciare un percorso relativo alla musica all’interno della Commedia. Io provo a riferirgliela, codesta teoria che mi garba un monte e che mi ha parecchio affascinato, ma se non son tanto buono non me ne voglia.
Sostiene Barsacchi che guarda caso la musica nell’Inferno non c’è: nel regno del caos, del peccato, ci sono solo rumori atroci, i versi dei demoni e poi, naturalmente, il pianto e le strida dei dannati. Man mano che si scende giù nei cerchi, i rumori si attutiscono fino ad arrivare al silenzio assoluto (o quasi, nel caso del batter di denti).
Sostiene ancora Barsacchi che nel Purgatorio le preghiere siano accompagnate (e nobilitate) dal canto gregoriano, il canto della liturgia: melodia semplice, cantata all’unisono, essendo il pentimento una faccenda collettiva.
Sostiene infine Barsacchi che la nuova forma musicale della polifonia Dante la riservi al Paradiso. Un elemento talmente innovativo che qualche anno dopo la morte di Dante il Papa in una bolla condanna l’uso della polifonia nelle liturgie: le linee cantate, intrecciandosi tra di loro, distolgono i fedeli dal testo, cioè dalla preghiera. Dante insomma ha il coraggio di rompere la tradizione, rivelandosi ancora una volta profondamente innovativo.
Io non so se gliel’ho spiegata per benino questa faccenda, Filippo. Forse dovevo chiamare in causa direttamente Marco Barsacchi, invitandolo a redigere qualche riga, ma non me la son sentita di importunarlo. Allora facciamo una via di mezzo: se questa tesi la sconfinfera, adocchi l’intervento che lo stesso Barsacchi ha fatto a uno dei nostri incontri a scuola. Dia retta, ne vale la pena.
L’indirizzo lo trova cliccando qui, io qui sopra mi congedo da lei salutandola con un grande abbraccio.
Cacio.
© Vietata la riproduzione
Lascia un commento