Cacio piuttosto che Cacini

A scrivere è il personaggio del romanzo di Michele Cecchini

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Pubblicato ore 12:00

Emilio Cacini, meglio conosciuto come Soldo di Cacio, è il protagonista del romanzo di Michele Cecchini “Il cielo per ultimo”, uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri. In questa rubrica, il Cacini risponde alle domande dei suoi e dei nostri lettori.

Cacini caro,
lei che mi sembra un omino saggio e pure un po’ temprato dalla vita, perché non ci dice la sua su questo periodo? Che mondo ci aspetta? Secondo lei ne usciremo migliori o peggiori? Soprattutto, ne usciremo? Non sono forse i ragazzi quelli che più hanno patito le restrizioni della pandemia?
Stia in gamba e buone cose.
Oriano (Salviano)

Oriano,
grazie per le sue righe. A stare in gamba ci provo, almeno per quel che mi consentono le gambette corte corte e traballanti.
Io e Pitore, come ho avuto modo di raccontare, ogni tanto andiamo a nuotare in piscina. Ho un amico, Claudio, che mi esorta a fare come lui: ogni giorno un bel bagno in mare, da ottobre a maggio, senza mai perdere un colpo. A me piacerebbe, e prima o poi lo seguirò. Ma giacché ho “il fisi’o da zero a zero”, come dice l’altro mio amico Paolo, ho il timore, anzi la certezza di buscarmi un raffreddore. Cosa assai impegnativa, di questi tempi. Per cui nel frattempo che ci penso, io e Pitore si va in piscina.

Il suo amichetto Leo, però, da qualche tempo va agli allenamenti di calcio e Pitore ha voluto seguirlo. Allora una volta che l’ho incontrata all’uscita da scuola, ho chiesto informazioni alla mamma di Leo. “A tenere gli allenamenti c’è uno che pare sia famoso”, mi ha detto.
Così, l’altro pomeriggio io e Pitore ci siamo avviati ai campini da calcio, dopo avere acquistato un paio di calzettoni lunghi, la maglia termica e i pantaloncini. La maglietta no. Ne basta una bianca, semplice. Siamo arrivati lì per la lezione di prova e Pitore, insieme a Leo e a tutti gli altri ragazzini, hanno aspettato l’allenatore.
A un certo punto, preceduto da un bagliore di luce e accompagnato dal crepitio dell’elettricità nell’aria, si è materializzato di fronte a noi Igor Protti. Non le dico, Oriano, lo stupore. Tutto mio, perché le mamme presenti hanno continuato a parlottare tra di loro, probabilmente ignare del prodigio che si stava consumando di fronte a loro.
Così, sul campino vicino al mare, Pitore e tutti gli altri bambini scorazzavano spensierati con le loro magliette bianche e le gambette corte corte quasi quanto le mie. Igor Protti, in mezzo a loro, aveva anche lui la maglietta bianca e l’espressione spensierata. Si stava divertendo tanto quanto loro, sicuro.
Mi è sembrata un’immagine molto bella, Oriano, di quelle che ti rimettono al mondo.

La spensieratezza, ho pensato, è un valore e, almeno per quel che mi riguarda, conta ben più della competizione. Ché io proprio non riesco ad essere competitivo e l’agonismo non so dove stia di casa.
Così, mentre ero lì mi sono immaginato come sarebbe un mondo dove la spensieratezza, la voglia e il gusto dello stare insieme prevalessero su tutto. Un mondo un po’ assurdo, forse, dove le persone, come i bambini, lasciano perdere le incombenze e indossano una maglietta bianca.
Una riunione di condominio che si trasforma in una cena; la coda alla posta giusto per fare due chiacchiere; l’attesa collettiva di un bus in una strada dove non passano i bus; un quiz televisivo dove non si vince niente; uno stadio pieno senza la partita; un’oretta dal commercialista giusto per parlare di com’è il mare oggi; sugli scontrini, una frase gentile rivolta al cliente; quelli bloccati nel traffico che chiacchierano e si bevono un caffè; le persone che si danno appuntamento alla stazione senza partire o arrivare, con la biglietteria trasformata in un buffet; altri che smettono di cercare parcheggio e se ne vanno a pranzo insieme.
Penso siano molto belle, le chiacchiere tra sconosciuti. Hanno il candore della cosa fine a se stessa. In coda al supermercato, agli allenamenti a bordo campo. È un modo per scambiarsi qualche parola ma così, gratuitamente, nella consapevolezza che nel giro di poco ci separeremo e ognuno andrà per la sua strada. In quei pochi istanti però ci siamo riconosciuti come esseri umani che condividono un angolo di mondo.

Lei, Oriano, potrebbe obiettare: “Ma io c’ho da fare! Mica posso perdermi dietro alle fantasie o alle chiacchiere!”. Ha ragione. Sono idee bislacche e strampalate.
Allora facciamo così. Cominciamo dalle cose semplici e concrete. Diamo un segnale, proprio nelle nostre chiacchiere. Ripristiniamo il “piuttosto che” in funzione disgiuntiva anziché correlativa. “Mi piace il prosciutto piuttosto che la mortadella” tornerà a voler dire “Preferisco decisamente il prosciutto alla mortadella” e non: “Mi piacciono entrambi allo stesso modo”. Sarà a suo modo una svolta. Un segno di cambiamento piccolo ma significativo. È una battaglia persa? Dice che sto continuando a sognare, Oriano?

A un certo punto mi sono sentito prendere la mano. È Pitore. L’allenamento è terminato. Nel tragitto a piedi verso casa, mi diverto a intercettare tra i passanti qualcuno che indossa una maglietta bianca.

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