I trabocchi: i colossali ragni del litorale abruzzese

Sono il simbolo di una pesca non invasiva

I trabocchi. Disegno di Maria Cristina Manetti
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Pubblicato ore 16:00

  • di Patrizia Caporali

ABRUZZO -Gabriele d’Annunzio comincia a descriverli nella loro essenza più affascinante come ragni colossali, forse perché sembravano avere le sembianze di corpo animato che, costruito in legno ed esposto al sole, alla pioggia, al vento, mostrava tutte le sue asprezze e tutte le sue protuberanze.

Altro non sono che i trabocchi o trabucchi, strutture che in origine servivano per pescare, senza correre i rischi dell’avventura in alto mare. Realizzati secondo un complesso sistema di legni, funi, nodi, incastri e reti, emergono dal mare, lontani da terra, dove l’acqua è profonda almeno 6 metri e vanno a ridisegnare la geografia di un lungo tratto del litorale abruzzese, compreso tra il verde della vegetazione e l’azzurro del mare, senza deturparlo, anzi caratterizzandolo e rendendolo riconoscibile proprio grazie alla loro presenza.

Già in lontananza sembrano palafitte primordiali messe lì quasi per caso, ancorate agli scogli come fedeli guardiani della costa abruzzese, ma anche delle basse Marche e dell’alta Puglia. In realtà sono i simboli di una pesca non invasiva, a basso impatto ambientale, testimonianza di un mestiere antico di uomini forti, metà artigiani metà pescatori, capaci di adattarsi in un territorio talvolta aspro e quindi poco favorevole.

Nel corso dei secoli i trabocchi, la cui origine è piuttosto nebulosa, hanno anche catturato l’immaginario e la fantasia di tanti artisti che li hanno descritti, dipinti, fotografati, mentre tante leggende si raccontano sulla loro nascita, che alcuni attribuiscono all’ingegnosità dei Fenici quando, nel periodo del loro massimo splendore, posero vari insediamenti sulle coste italiane, a scopo commerciale.

Ma non esistono certezze precise su questa ipotesi, si può solo supporre che siano stati originati dalla paura che un tempo l’uomo provava nell’avventurarsi in mare aperto: era più comodo e più sicuro, pescare da fermo, su una piattaforma stabile, collegata alla terraferma da una passerella in legno. In effetti i primi documenti risalgono a un manoscritto del 1200 che descrive un mare punteggiato di trabocchi, mentre altre fonti ne fissano l’esistenza intorno al 1700, quando si parla di un’opera di disboscamento della costa per dare spazio alle coltivazioni e, dal legno recuperato, sembra siano nati proprio i trabocchi.

Nessuna certezza in più, come accade anche per l’origine del termine trabocco, italianizzato forse dal dialetto travocche oppure dal latino trabs, cioè legno, albero, casa, ma potrebbe anche derivare dal trabocchetto con riferimento al tranello teso ai pesci per la rete adagiata sul fondo da questa imponente costruzione realizzata in legno di pino d’Aleppo modellabile, capace di resistere alla salsedine e alle forti raffiche di maestrale che battono l’Adriatico.

Sicuramente, con l’avvio della pesca moderna, i trabocchi hanno perso la loro funzione, arrivando a un passo dal definitivo abbandono, soprattutto nella prima parte del 1900. Tanti sono andati distrutti, ma quelli sopravvissuti, con interventi di recupero e di manutenzione, sono diventati simboli da proteggere, attrazioni che catturano i viaggiatori oppure ristoranti che propongono un nuovo modo di cucinare valorizzando il territorio e i prodotti tipici della gastronomia regionale.

Impossibile non rimanere incantati da queste suggestive strutture imbevute di salsedine e leggenda, riconvertite in caratteristici ristoranti in cui è possibile gustare le prelibatezze del mare abruzzese godendo di un panorama incantevole, cullati dalle onde.

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